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AUTONOMIA DIFFERENZIATA: QUALE FUTURO PER L’ITALIA DISUNITA? Il dibattito

“Il Sadadì”, blog on-line di approfondimento territoriale, nasce nel luglio del 2021. Il suo nome manifesta la necessità, degli ideatori e dei collaboratori, di comunicare, di dare voce a questo nostro territorio, a questo nostro Comune. Per questo, anche in base alle competenze, conoscenze e interessi di chi scrive, proponiamo settimanalmente pezzi che affrontano diverse tematiche, locali, nazionali e globali, analizzando anche come quest’ultime sono di impatto sul nostro territorio e sulle nostre vite. Il tutto è realizzato grazie all’unico metodo che riteniamo possibile: la ricerca, coadiuvata dallo studio, dall’approfondimento e da una sana dose di curiosità su ciò che ci circonda.

Nel tempo questo gruppo si sta via via ampliando, aumentando così il ventaglio di tematiche proposte, ricche di qualità argomentativa.

Sin dalla fase preliminare di ideazione del blog, non lo abbiamo pensato come un luogo esclusivamente virtuale, ma anche come uno spazio di incontro, di dialogo e di confronto. Ci immaginavamo la possibilità di realizzare dibattiti pubblici, di proporre quelle tematiche, che approfondiamo e di cui scriviamo, ai nostri concittadini, con l’intento di portarle alla luce, di spiegare e di confrontarci in merito.

Il primo incontro è stato realizzato la scorsa estate a San Terenziano e ha avuto come tema la crisi idrica.

Da allora è passato qualche mese e molte cose sono cambiate, a cominciare dal nuovo Governo insediatosi a seguito delle ultime elezioni politiche del settembre 2022. L’indirizzo politico che questo Governo sta dando, al momento solo a parole e poco in concreto, decreterà il futuro e l’aspetto del nostro Paese. Tra gli argomenti sollevati in questi mesi, vi è quello dell’AUTONOMIA DIFFERENZIATA. Tema poco approfondito, a tratti accennato dai media, resta avvolto da un alone di mistero e di incomprensibilità che lo mantiene quindi ben lontano dall’interesse collettivo quando in realtà, se perseguito, potrebbe radicalmente cambiare le nostre vite e il nostro futuro. Per questi motivi, ci è sembrato doveroso iniziare proprio da qui, dall’autonomia differenziata, per spiegarla e parlarne per poterla capire. In virtù della sua importanza, abbiamo ritenuto opportuno svolgere il dibattito a Gualdo Cattaneo. Per poter fare tutto questo avevamo però bisogno di una voce autorevole in materia: per questo abbiamo voluto invitare il Professor Volpi che ringraziamo fortemente per la sua disponibilità e per aver accettato il nostro invito.

Grande assente, anche questa volta, l’Amministrazione Comunale, impegnata a rappresentare Gualdo Cattaneo al weekend del Vinitaly.

Ringraziamo tutti coloro che hanno preso parte al dibattito, i nostri concittadini, le associazioni presenti, le forze politiche che hanno accettato l’ invito (tra queste anche i rappresentati della Lega che, invitati a far parte del parterre degli ospiti, hanno preferito assistere e non intervenire).

Numerose e interessanti le domande poste, spunti di riflessione stimolanti le osservazioni esposte.

La complessità e le implicazioni dell’autonomia differenziata sono indubbie e non muove di certo i primi passi in quest’ultimo periodo, ma anzi ha un pregresso storico che cercheremo di riassumere brevemente.

Non si può arrivare a parlare di autonomia differenziata se prima non si spiega come si è arrivati ad essa. L’articolo 5 della Costituzione spiega come i padri costituenti pensavano all’Italia, anche nel suo futuro: “una e indivisibile“, pur riconoscendo e promuovendo le autonomie locali a cui prevede di decentrare alcune funzioni.

Un altro importante momento di sviluppo della questione si è avuto nel 1970 quando, con la legge n. 281, si è dato avvio al processo di decentramento amministrativo previsto proprio dagli articoli 5 e 118 della Costituzione. Alle regioni italiane a statuto ordinario si dà così concreta attuazione delle previsioni costituzionali, rimaste fino ad allora inattuate.

Una forte accelerata si è avuta con la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001. Cambiò così il rapporto tra Stato e Regioni. La riforma del Titolo V ampliò infatti i poteri delle Regioni a statuto ordinario e la loro potestà legislativa, definendo il raggio di azione nelle materie concorrenti che possono essere chieste (ventitré). La revisione della Costituzione ha ripreso in larga parte il lavoro della Commissione Bicamerale del 1997. Questa revisione è stata attuata dal centro sinistra con il governo Amato e, al di là della volontà di rinnovare le competenze tra i vari organi dello Stato, insita c’era una questione politica: limitare l’azione della Lega secessionista, provare a marginalizzarla intervenendo sul suo stesso terreno e forse tentare di sedurla per riportare dalla propria parte quel partito che Dalema definiva una costola della sinistra.

Oggi quali rischi corre un territorio marginale come il nostro, Gualdo Cattaneo e, più in generale l’Umbria, se lo sta domandando la classe dirigente politica locale?

Sicuramente, quando parliamo di autonomia differenziata, cioè, di fatto, di un accordo che viene sottoscritto fra Stato e Regioni, rimane difficile immaginare che ci possano essere implicazioni anche per gli enti locali di minori dimensioni. Eppure per questo tema vale un po’ quel discorso che si fa per la politica in generale, vale a dire: anche se tu non ti occupi di lei, lei si occupa di te. Questo perché dei 23 temi che possono divenire oggetto di gestione regionale grazie a questa riforma, non ce n’è probabilmente nessuno che poi non impatti sulla quotidianità dei cittadini e delle istituzioni che presidiano i territori regionali che vivranno il decentramento. Istituzioni alle quali pioverebbe addosso la responsabilità di far funzionare, cofinanziandoli, i servizi di cui oggi lo Stato vuole alleggerirsi perché non riesce ad occuparsene come vorrebbe. Una manovra rischiosa, soprattutto a causa di quella parola “co-finanziare”. Ai più attenti avrà già fatto scattare un campanello d’allarme: e le risorse?

La partita, dalla definizione della quota che il centro dovrà garantire alle periferie per sostenere lo svolgimento di funzioni minime uguali per tutti, a quale percentuale delle tasse dovrà rimanere in capo alle Regione per svolgere tutti i nuovi servizi, passando per la comprensione del se sia legittimo ritenersi prima veneti che italiani, è di grande complessità. Gli scenari possibili sono numerosi. Senza dilungarci troppo, la chiave è una: il sistema regionale italiano è troppo disomogeneo per pensare che questa svolta federalista non porti all’emersione di grandi disuguaglianze.

Pensiamo alla scuola, uno dei temi più caldi all’interno di questa vicenda. Se il riferimento per la riassegnazione delle risorse sarà la spesa storica, i comuni dove dovranno andare a cercare le risorse per gestire e potenziare la propria offerta? A Gualdo Cattaneo è in arrivo una scuola nuova di zecca che si fregia di proporre servizi migliori come mensa e tempo pieno, una regione non certo trainante per l’economia italiana come l’Umbria, dove può trovare i soldi per tutto questo? O peggio ancora, dove può trovarli un comune? I nodi, come si vede, vengono al pettine piuttosto in fretta, così come non tarderà a farsi sentire anche l’inevitabile conseguenza di avere regioni tanto diverse nell’offerta dei propri servizi. E in anni di cambiamenti climatici, è sotto gli occhi di tutti quanti soldi costa un territorio abbandonato all’incuria dopo che l’uomo vi ha impresso sopra la propria, pesante, impronta.

Se un Paese è davvero dei cittadini che lo popolano, e se è vero che tutti hanno eguali diritti, come si possa accettare una simile promozione della diseguaglianza rimane un mistero.

Non resta che sperare nelle difese all’interno della Costituzione.

Il Professor Mauro Volpi, costituzionalista, ricercatore e studioso, nell’intervento principale e centrale dell’incontro delinea quelli che per lui sono i rischi connessi alla legge di attuazione Calderoli.

Una delle principali problematiche individuate è la completa emarginazione del Parlamento. La determinazione dei LEP (Livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali) è affidata ad un comitato tecnico presieduto dal Prof. Cassese. Nel caso in cui i lavori non dovessero essere terminati nei termini stabiliti, si prevede di fare in un anno il lavoro che non si è riusciti a compiere in 21 e un commissario di nomina governativa completerà l’attività attraverso l’adozione di Dpcm. Processo in aperta violazione della Costituzione secondo il Giurista.

La seconda questione su cui viene posta l’attenzione dal Prof. Volpi è quella sorta di trattativa privata tra la singola Regione e il Governo ai quali verranno richiesti pareri non vincolanti alla Conferenza Stato Regioni e alle autonomie locali, pareri da cui il governo può prescindere. Allo schema d’intesa definitivo approvato dalla Regione e dal Consiglio dei ministri, farà seguito una proposta di legge rafforzata che dovrà essere approvata dalle Camere senza poter essere emendata; una presa d’atto del Parlamento su cui non si potrà tornare indietro.

Cinquecento funzioni delle 23 materie soggette ad autonomia potrebbero passare dallo Stato alle Regioni. Materie che incidono sui diritti fondamentali (salute, istruzione, tutela e sicurezza del lavoro, beni ambientali e culturali) e su servizi essenziali (governo del territorio, grandi reti di trasporto, produzione trasporto e distribuzione nazionale dell’energia).

Terzo punto, la questione risorse: tutto avverrebbe nel principio dell’invarianza finanziaria e i fabbisogni standard determinati in base alla spesa storica. In sostanza, le risorse attribuite alle Regioni che hanno già stipulato intese (le ricche Veneto e Lombardia) andranno a discapito di tutte le altre.

Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, ricordando anche la propagandistica proposta dell’abolizione del Titolo Quinto della Costituzione da parte della “coerente” Meloni nel 2014, che oggi sarà artefice dell’attuazione di quel mezzo pastrocchio, propone una legge d’iniziativa popolare per migliorarla. Sono previsti il trasferimento alle Regioni di nuove funzioni se potrà essere giustificato dalla specificità del territorio e quindi adeguatamente motivato con possibilità di essere soggetto a referendum abrogativo. L’introduzione di una clausola di supremazia statale “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse Nazionale”, inoltre i livelli di prestazioni relativi ai diritti civili e sociali erogate sul territorio saranno individuati come “uniformi” e non “essenziali”. Infine, riassegnare alla competenza legislativa esclusiva dello Stato materie quali la tutela della salute, la tutela e la sicurezza del lavoro, scuola, Università, ricerca, reti nazionale di trasporto, porti e aeroporti civili di rilevanza nazionale o interregionale, reti e ordinamento della comunicazione, produzione, trasporto e distribuzione dell’energia, previdenza complementare e integrativa.

L’obiettivo dell’incontro che abbiamo organizzato come Sadadì è stato anche quello di raccogliere le firme alla proposta di legge (lo si può fare anche online al sito www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it) e trasferire il dibattito che abbiamo provato a promuovere tra i cittadini in Parlamento, vero organo legislativo e luogo di espressione della democrazia.