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HOMO HOMINI LUPUS

È un periodo molto delicato quello che sta attraversando il settore olivicolo, una delle realtà più interessanti, insieme a quello vinicolo, del comune di Gualdo Cattaneo, sia dal punto di vista culturale (si pensi all’indotto enogastronomico derivante dall’inclusone in itinerari quali “La strada del Sagrantino” o “La strada dell’olio DOP”, o anche alle numerose manifestazioni quali “Frantoi aperti” e “Sapere di pane sapore di olio”) sia da quello economico. Di recente infatti, all’incertezza dei raccolti causata da stagioni fortemente anomale e al sempre più concreto incubo della xylella in Puglia, si è aggiunto lo scandalo della falsificazione delle etichette che ha investito molti tra i più grandi produttori di olio a livello nazionale; gettando l’intero settore nel caos. Al solito, chi rischia di più in simili circostanze, sono i piccoli produttori che, questi sì, puntano tutto sulla capacità di fornire prodotti di altissima qualità, ma che fatalmente sono anche i più esposti alla caccia alle streghe che ogni volta segue situazioni del genere. In molti probabilmente non saranno stati sorpresi da tale scoperta, ma la cosa più importante in questi momenti è non lasciare che la cosiddetta “macchina del fango” ci spinga a fare di tutta l’erba un fascio, inaridendo il nostro spirito critico.  In un età in cui le informazioni si accalcano l’una sull’altra per attirare la nostra attenzione infatti, potrebbe essere fin troppo semplice classificare questo come altri eventi, alla stregua dell’ennesimo tentativo di un venditore di imbrogliare i propri clienti. Il punto è che a considerare la Bertolli o la Carapelli come il piccolo commerciante di auto usate del quartiere si rischia non solo di prendere fischi per fiaschi, ma anche e soprattutto di fare il gioco del truffatore. Perché aziende di questo calibro dovrebbero arrivare a ritenere accettabili i rischi conseguenti alla scelta di spacciare del semplice olio d’oliva come olio extravergine d’oliva? Il che poi, neanche implica che la qualità delle materie prime utilizzate per produrlo sia necessariamente scadente; la differenza sta nel grado di acidità che il più delle volte dipende dal grado di maturazione delle olive (meno sono mature e maggiore è la qualità dell’olio). Quindi perché ingannare i propri consumatori, molti dei quali probabilmente motivavano proprio con la fiducia nel marchio la propria scelta? Sicuramente le difficili condizioni economiche in cui da qualche anno versa il gruppo spagnolo Deoleo, titolare di entrambe queste aziende (inclusa la Sasso, altra indagata in merito a tale vicenda), potrebbe essere una delle ragioni, ma d’altro canto sono coinvolti anche altri marchi nell’inchiesta, senza considerare quante altre indagini partiranno a seguito di questa e anche quanti produttori riusciranno a corre ai ripari prima di venire scoperti. No, il nocciolo della questione si trova altrove. Casi come questo o come lo scandalo Volkswagen rientrano perfettamente nell’ingannevole logica capitalistica dell’autoregolamentazione del mercato. Questa fede che il modello neoliberista ha eletto a religione ufficiale del sistema economico globale infatti, pur potendo risultare coerente perché in linea con essa è solo chi riesce a soddisfare al meglio le esigenze del momento che continua a rimanere sul mercato, non tiene minimamente conto di come possa ripercuotersi sulla vita delle persone questo continuo processo evolutivo; se così vogliamo chiamarlo. Sì perché, nella lotta in pieno stile homo homini lupus di Hobbes alla quale assistiamo all’interno di ogni supermercato si è disposti a tutto pur di rimanere in corsa, e questo non può che andare a discapito di chi, acquistando della merce, infondo cerca solo di vivere un’esistenza appagante. “Conquistare clienti anche a costo di ingannarli”, un mantra la cui forza cresce di pari passo all’affermazione di quella che gli economisti ormai chiamano “fase postcapitalistica”, ossia ad un’economia in cui il giudizio dei consumatori acquista un peso sempre maggiore nell’orientare le scelte di mercato. Peccato che poi questo “giudizio” rischi sempre di rivelarsi uno pseudo-giudizio a causa della condotta mistificatrice del grande prodotture che ricorre a qualsiasi espediente pur di vendere a prezzi sempre più bassi proddotti che spaccia per calibrati sulle esigenze qualitative del consumatore stesso. Come si può buypassare questo sistema che rischia di costringere chi poi la quotidianità la vive direttamente a doversi documentare perfino prima di andare a fare la spesa? Sono le piccole realtà come quelle che impreziosiscono territori come Gualdo Cattaneo e molti altri comuni rurali a costituire la vera risposta al problema. Accorciare la filiera per renderla più facilmente controllabile, riscoprire il piacere di un rapporto diretto con il produttore prima ancora che con il trasformatore della materia prima, perché è nel rifiuto del modello mainstream che si può iniziare a rispondere alle numerose criticità (non ultima quella occupazionale) derivate dall’economia globale. E se è vero, parafrasando Nietzsche, che solo dal caos può nascere una nuova stella, sarà bene che i piccoli produttori non perdano tempo, i consumatori sono stufi di farsi prendere in giro.

Andrea Cimarelli