La battaglia per i piccoli borghi
Lunedì scorso, il podcast quotidiano di attualità Corriere Daily, che deve il suo nome proprio al fatto che sono i giornalisti che collaborano col Corriere della Sera, a raccontare e analizzare le varie vicende, è uscito con una puntata dal titolo: Nell’Italia che si spopola, un paesino rinasce con una libreria (la trovate qui). La cosa che più colpisce però, al di là della bella vicenda che viene raccontata e che appare chiara già nel titolo, è la conclusione verso cui ci porta l’ascolto. Nella seconda parte infatti, c’è l’intervento dello statistico Roberto Volpi che riprende un suo articolo del dicembre 2021, dal titolo molto eloquente: Piccoli comuni, il ritorno ai borghi non c’è mai stato. E forse va bene così (lo trovate qui), e di fatto getta una luce funesta sul futuro del nostro Paese. Tanto l’oggetto quanto la conclusione del percorso argomentativo paiono più che mai chiari e per certi versi anche poco sorprendenti, soprattutto agli occhi di chi queste difficoltà le vive e le vede tutti i giorni. Tuttavia sono la freddezza dell’analisi numerica e il cinismo che porta con sé a non rendere minimamente giustizia a tutte le persone che di questi piccoli borghi sono abitanti per scelta e in un certo senso anche difensori.
L’argomentazione di Volpi si può riassumere nel fatto che il futuro di colline e montagne italiane, da qui a 50 anni (nemmeno un lasso di tempo tanto esteso) è quello di configurarsi come le aree interne della Sardegna ad esempio, una landa disabitata in cui la natura si riappropria degli spazi che secoli di crescita demografica le avevano sottratto, lasciandosi alle spalle solo la desolazione dei piccoli borghi abbandonati e invasi dalla vegetazione. Poco importa poi che il suo obiettivo principale siano i comuni da meno di 2000 abitanti, il trend riguarda tutti e porterà, secondo la sua analisi, a dimezzare la popolazione nazionale entro fine secolo. Ancor più desolante però, è per certi versi la sua conclusione, che vira verso una soluzione incentrata su fusioni e accorpamenti. In poche parole, o si acquistano dimensioni demografiche più consistenti, o si scompare, soffocati dall’insostenibilità (per altro inevitabile con il trend attuale) dell’erogazione di servizi minimi per la sopravvivenza degli enti. Come se dall’unione di due o più territori contigui dovessero venire solo i vantaggi derivanti dai sussidi che eroga lo Stato centrale e non, conseguentemente, anche le difficoltà di gestire un territorio non solo più ampio, ma anche poco coeso. Tanto per renderci conto, dalla possibile fusione di Gualdo Cattaneo e Giano dell’Umbria sarebbe nata un’entità amministrativa di circa 140 km2 per poco più di 8000 abitanti. Più del doppio delle dimensioni medie di un comune del centro Italia (58,3 km2 secondo i dati Istat 2011), che già sono i più estesi nel Paese. Una sfida tutt’altro che semplice da gestire insomma, e sicuramente insufficiente di per sé a presentarsi come soluzione. Anzi, somiglia molto ad un’estrema ratio per fronteggiare una sconfitta già acquisita, come a dire che in attesa che il tempo faccia il suo corso e tutto muoia, intanto conteniamo i costi e accompagniamo questo crepuscolo dei piccoli borghi nel modo più indolore. Perdendo di vista un elemento imprescindibile, e cioè che è la vitalità di un territorio, non le sue dimensioni, a determinarne lo sviluppo.
Il quadro è stato in parte confermato anche dalla Commissione Ambiente che si è tenuta lo scorso giovedì 12 maggio nella sala del Consiglio Comunale di Gualdo Cattaneo, dove il responsabile dell’Ufficio Lavori Pubblici ha esposto chiaramente tutte le difficoltà che realtà territoriali come la nostra sono chiamate ad affrontare sia a causa della crisi congiunturale che attraversa da almeno un decennio il nostro Paese, sia per le ben note criticità strutturali che lo Stato ha imposto agli enti locali; sempre più a corto di risorse. Un contesto che rende fondamentale l’attività della parte politica, chiamata a fornire una visione non solo al territorio stesso, ma anche ai gradi superiori di governo per riuscire a dirottare quante più risorse possibili al fine di mantenere attivi e performanti i servizi. Almeno quelli minimi. Cosa che gli uffici cercano di fare con tutto l’impegno che gli consentono le limitate risorse, anche umane, a loro disposizione. Ad esempio, quest’anno a Gualdo Cattaneo la lotta alle infestanti dove non era possibile intervenire meccanicamente, è stata basata sull’utilizzo di un prodotto a base di acido acetico consentito anche in agricoltura biologica, il risultato si può discutere, ma sicuramente c’è stato l’impegno per trovare soluzioni nuove a problemi che da normali, stanno diventando sempre più complessi. Perché è questa la vera insostenibilità che stanno vivendo i piccoli comuni, l’abbandono non solo da parte dei cittadini, ma soprattutto da parte degli apparati centrali. Quasi come fossero perdite accettabili nell’affannata corsa per salvare l’Italia dal decadimento. Per questo diventa fondamentale il ruolo della politica locale, per ergersi come barriera di resistenza a questo processo di razionalizzazione e progettare un futuro che sappia esprimere al meglio la natura di un luogo. Proprio su questo piano a Gualdo le promesse, durante e dopo la campagna elettorale non sono mancate, come non mancheranno di certo le difficoltà per realizzarle; in primis per il reperimento delle risorse economiche. E tutti noi ci auguriamo che il nuovo calendario degli spazzamenti stradali e la differenziata porta a porta nei principali centri del comune diventino realtà al più presto. Però governare un territorio significa anche tentare di realizzare una visione, lavorare per dare forma ad un progetto che possa anche rafforzarne l’identità, tanto più se scegliere di rimanerci in quel territorio diventa sempre più difficile perché tutto sembra volerti spingere altrove. Perché pare chiaro ormai che più che i sussidi statali, sono le persone che ci vivono nei piccoli borghi le uniche a lottare per tenerli vivi, e in battaglia si sa, spesso la visione è più importante di tanti numeri.