La politica italiana non ha tempo per il cambiamento climatico
Mancano ancora un paio di settimane al grande appuntamento elettorale del prossimo 25 settembre, eppure, un primo verdetto pare già ben visibile. Il cambiamento climatico non sarà una priorità per il prossimo governo. Dopo più di un mese di campagna elettorale, la sensazione iniziale comincia a farsi certezza: anche stavolta, c’è un’emergenza contingente che ci costringe a puntare i riflettori su qualcos’altro, su temi più urgenti e importanti; il futuro – come sempre in questo Paese – può aspettare. Della sorprendente spinta verso posizioni più attente all’impatto ambientale che si era vista sul finire dello scorso anno, la guerra in Ucraina prima, la crisi energetica e l’inflazione galoppante poi , hanno cancellato ogni traccia. Il che non significa di certo che tali questioni siano di scarsa importanza, anzi, quello che viene da chiedersi però, è: perché la soluzione non dovrebbe partire proprio da una reimpostazione del nostro sistema produttivo all’insegna della sostenibilità? Perché deroghe al carbone , ipotesi di nucleare, rigassificatori e nuove trivellazioni nell’adriatico dovrebbero garantirci di risolvere il problema, mentre un piano strategico sulla transizione alle rinnovabili e un forte potenziamento del trasporto pubblico (di cui abbiamo parlato qui) no?
Quest’estate, gli scienziati e accademici del gruppo Energia per l’Italia hanno pubblicato un Decalogo sulla transizione energetica per stimolare la discussione politica sull’argomento e per fornire anche una vademecum delle priorità di cui tenere conto per dare un nuovo futuro al nostro Paese. I primi 4 punti parlano ovviamente di energia, e lo fanno sottolineando che abbandonare le fonti fossili, ridurre i consumi, scartare l’ipotesi nucleare e fare dell’energia un bene comune scambiabile fra tutti, devono essere delle priorità assolute e inderogabili. Idee chiare che non solo, nessuna forza politica ha messo al primo posto dei propri progetti per il futuro dell’Italia, ma che anzi, hanno ricevuto come risposta, la pubblicazione, da parte del Mite (Ministero per la Transizione Ecologica) dell’ormai celebre Piano Cingolani. Un programma che di fatto chiede – per non dire supplica – agli italiani, di ridurre spontaneamente i consumi nazionali di gas del 15% (8,2 miliardi di m3) fino al prossimo 31 marzo 2023, con indicazione che ormai dovrebbero essere già da tempo parte dell’agire quotidiano di tutti. Lavatrici a pieno carico, spegnere tutte le spie degli elettrodomestici o accorciare docce e fasce orarie di accensione dei riscaldamenti sono argomenti che dovevano essere all’ordine del giorno già da 15 anni; e per motivi che vanno anche al di là della questione climatica. Il tutto mentre Terna riceve dallo stesso ministero l’invito a dare avvio al Piano della massimizzazione della produzione di energia elettrica da combustibili diversi dal gas naturale. Che tradotto, significa: in attesa di sostituire il gas russo con altro gas, avanti tutta col carbone. Un approccio che Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, commenta così: «Sono solo due soluzioni tampone che non vengono affiancate alla vera risposta alla dipendenza del nostro Paese dall’estero e dalle fonti fossili, ovvero riuscire a sfruttare più velocemente il potenziale delle energie rinnovabili». Anzi, dimostrano che di fatto si sta lavorando molto di più su come continuare a usare combustibili fossili anziché su come superarli.
La verità è che senza un aggiornamento del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima e soprattutto senza l’adozione del Piano di adattamento alla crisi climatica, fermo in Senato dal 2018, di fatto mancano gli strumenti politici per rendere possibile il cambiamento. E questo vuoto normativo è la diretta espressione di un vuoto di volontà da parte di una politica che continua a vedere negli indici di crescita economica l’unico grande obiettivo da perseguire. Anche a costo di danneggiare la natura e la sua capacità di fornire spontaneamente beni e servizi essenziali e gratuiti come una stagionalità compatibile con i nostri sistemi agricoli o con il ciclo dell’acqua. Paradossalmente, un approccio serio e determinato alla transizione verso un modello energetico incentrato sulle rinnovabili avrebbe potuto quantomeno lenire gli effetti di questa crisi energetica. Invece, queste sono relegate ad un ruolo sempre minore, si pensi anche all’idrogeno (ne avevamo parlato qui e qui), che fino a una decina di mesi fa sembrava dovesse costituire il volano di un nuovo modello economico e invece ora è del tutto scomparso dal dibattito. Come a Gualdo Cattaneo. Dove – come in tutte le campagne italiane – , grazie ai caminetti e alle stufe a legna, un minimo gli effetti peggiori di questo inverno potrebbero essere leniti, ma anche dove questo vuoto progettuale pesa sempre di più. Perché è ormai chiaro che dal canto suo, il contrasto al cambiamento climatico potrebbe costruire una grande opportunità per tante aree marginali e non solo, ma si sa, dove i voti sono pochi la politica si spende poco, e a questo giro, forse meno che mai.