L’IDENTITÀ TERRITORIALE DELLA FESTA DELLA LIBERAZIONE E LA SUA EREDITÀ
Tra poco meno di un mese festeggeremo la Liberazione nella ricorrenza del 25 aprile. Sono convinta che questa celebrazione non debba essere circoscritta a un solo giorno dell’anno ma dovremmo essere consapevoli che la viviamo ogni singolo giorno. La nostra vita è il risultato di quel processo di Resistenza culminato il 25 aprile del ’45. In quel momento si costituisce l’embrione del nostro Stato repubblicano, che vedrà la luce l’anno successivo, e di cui tutti noi siamo allo stesso tempo discendenti e parte organica. Non esistono distinzioni politiche: la libertà riguarda tutti ed è stato un dono offerto a tutti e di cui tutt’ora beneficiamo. Ci sono state persone con degli ideali che hanno fatto delle scelte di vita; così come ci sono state vittime, tante e troppe come in ogni guerra, a causa delle scelte di alcuni. Ognuna di queste scelte e ogni singolo gesto ha concorso alla libertà di cui godiamo oggi.
Questa Liberazione è stata costruita con la storia e questa storia si è svolta anche qui, tra le nostre colline. Nel nostro piccolo ne siamo parte integrante.
In Umbria il regime fascista, tra il 1942 e il 1943, allestì tra i 10 e i 15 campi di concentramento e di lavoro. A questi si aggiungevano le carceri. I due campi di concentramento più importanti erano quello di Colfiorito (detto “le casermette”) e quello di Pissignano. Tutti gli altri erano campi di lavoro; tra questi c’era quello di Bastardo. I prigionieri qui confinati erano sloveni, croati e montenegrini catturati a seguito di rastrellamenti. Una tappa intermedia prima di raggiungere i lager tedeschi. La Società Anonima Terni, che gestiva il complesso minerario in cui ricadeva anche la Centrale di Bastardo, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale fece formale richiesta di utilizzo dei prigionieri di guerra presso i propri stabilimenti di Morgnano e di Bastardo. In quel periodo, l’organico al lavoro presso le miniere e la centrale raggiungeva le 2.486 unità e di questi 215 erano prigionieri slavi.
A Foligno, il 4 gennaio 1944, venne ucciso dai tedeschi (ufficialmente per un accidentale investimento automobilistico) Francesco Innamorati, dirigente politico e sindacale, membro comunista del CLN. A lui viene intitolata la brigata, costituita per iniziativa del PCI perugino, stanziata sull’area collinare al centro dell’Umbria, fra i comuni di Torgiano, Deruta, Cannara, Bettona, Bevagna, Collazzone e Gualdo Cattaneo.
A Ponte di Ferro, il 3 marzo 1944, una squadra della “Leoni” si scontra con una pattuglia tedesca, procurandole quattro morti ma non riuscendo a uccidere tutti i componenti.
Il 12 aprile 1944 ci fu un rastrellamento della Guardia Nazionale Repubblicana (istituita dalla Repubblica Sociale nel dicembre del ’43), coadiuvata da reparti dell’esercito, sull’area dei Monti Martani, in particolare nel territorio di Giano dell’Umbria e il giorno successivo, presso il cimitero di Montefalco, un plotone della Repubblica Sociale Italiana fucilò i renitenti Amerigo Fiorani e Luigi Moretti.
Il 6 giugno 1944 a Collemancio (Cannara) i fascisti fanno prigionieri e uccidono i coloni Crispolto Ciotti e Nazzareno Sorci. Insieme a loro vengono catturati un altro uomo (accusato di favoreggiamento e verrà trasferito in carcere a Perugia) e una donna, violentata nella notte.
Il 15 giugno del ’44, nella zona del Monte, militari tedeschi in fuga uccisero il contadino Feliziano Paliani, e come lui tanti altri, per essersi opposto nel tentativo di salvare il proprio bestiame, la casa, la famiglia e la vita libera. Il giorno successivo gli Alleati entrano a Gualdo Cattaneo.
Questi sono solamente alcuni degli episodi della Resistenza accaduti nel nostro territorio. Per questo penso che strumentalizzare le tragedie del passato per scopi politici, attribuendo un colore politico o un’etichetta di partito alle tante morti, credo sia un atto profondamente ingiusto nei confronti della memoria di queste vittime e un gesto fine a sé stesso.
“La Storia siamo noi” cantava De Gregori.
Di di quella storia siamo figli e nipoti, ne discendiamo. Ogni pezzettino di storia è dentro di noi, è nelle nostre case, è nelle nostre famiglie.
Sono cresciuta in una famiglia in cui i miei nonni avevano vissuto “la guerra”. Il nonno materno, poco più che ventenne, venne mandato a combattere in Russia col corpo dei bersaglieri. I pochi superstiti sopravvissuti, aggregati al corpo di sanità, attraversarono l’est Europa fino ad arrivare a Civitavecchia e da lì tornare a casa a piedi fino a Bari. Ricordava bene mio nonno il freddo e la fame, spesso saziata da ciò che trovavano nei campi ucraini che attraversarono nel lungo viaggio di ritorno. Il nonno paterno invece, dalle Marche fu spedito a Bari. Conservò una prima pagina della Gazzetta del Mezzogiorno del 1943 in cui campeggiava l’annuncio “Gli Alleati entrano a Capua!”. Mia madre, di quel foglio di giornale ripiegato e conservato, ne ha fatto un quadro appeso all’ingresso che ogni giorno ho visto entrando e uscendo di casa. Mia nonna, giovane ragazza al tempo, raccontava delle strade che percorreva per evitare di incontrare i tedeschi, delle pentole e dei pochi gioielli che, fedi incluse, gli venivano confiscati per farne il rame e l’oro alla Patria, delle lampadine acquistate di contrabbando e dei corredi realizzati ricamando i tessuti dei paracadute. Nella mia famiglia non è mai stato necessario dire di essere antifascisti: l’esserlo è sempre stato parte di noi e delle nostre vite, come fosse una affermazione ridondante e superflua perché così vivo e così forte era il ricordo, e lo è tutt’ora, anche se i protagonisti non ci sono più.
Ora che vicino a noi un nuovo conflitto sta cercando di annientare un Paese, sentiamo latente quella sensazione di paura e di angoscia. Il giovane popolo italiano non ha fatto altro che lottare per secoli contro lo straniero invasore, dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, fosse esso barbaro, germanico, francese o austriaco, nel tentativo di difendere le proprie identità.
Auguro al popolo ucraino presto la liberazione e che possano avere un loro 25 aprile da festeggiare.
Io nel mio piccolo posso solo ringraziare quelle donne e quegli uomini, la loro determinazione nel mantenere fede agli ideali e lo spirito di sacrificio dimostrato: è grazie a loro se oggi sono qui e posso liberamente scrivere.