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UNA CRISI PER RISCATTARCI

I tempi si fanno sempre più duri per il Comune di Gualdo Cattaneo, soprattutto per il suo capoluogo, da anni vittima di un lento quanto inesorabile fenomeno di spopolamento ed abbandono. I dati forniti dal sito http://www.tuttaitalia.it (fonte Istat) parlano chiaro, negli ultimi 5 anni il numero delle cancellazioni dall’anagrafe per trasferimenti in comuni limitrofi è stato sempre maggiore alle 100 unità, e solo grazie alle rettifiche amministrative post-censimento 2011 è stato possibile registrare un +59 al saldo migratorio del 2013. Scenario che si fa ancora più impietoso se si guarda al saldo naturale, in serie negativa dal 2007 o all’indice di natalità, che nel 2015 è sceso addirittura sotto le 6 nascite per mille abitanti (3 punti al di sotto della già tragica media nazionale). E il fatto che il trend del comune gualdese sia in linea con quello dell’Italia intera, che solo lo scorso anno ha visto contrarsi la propria popolazione complessiva per una cifra equivalente alla città di Salerno (139 mila unità), è una ben magra consolazione. Sì, perché, andando ad approfondire ulteriormente le numerose tabelle disponibili sul sito in questione, emerge un altro dato piuttosto inquietante, per altro ampiamente confermato dal DUP (Documento Unico di Programmazione) relativo al biennio 2016/2018: la crisi, più che demografica è lavorativa. Tutti gli indici intenti a valutare la situazione occupazionale del territorio infatti, ci descrivono un comune in piena agonia che vede crescere non solo il numero di persone a carico ogni 100 lavoratori, cifra che l’anno scorso ha raggiunto quota 60, ma anche e soprattutto l’età media dei lavoratori, che nonostante la lieve riduzione dello scorso anno è di oltre 40 punti percentuali al di sopra dell’equilibrio fra neo impiegati e prossimi alla pensione. I fattori che concorrono a determinare uno scenario tanto difficile sono molti, non ultimo l’ormai prossima dismissione della centrale Enel P. Vannucci, che da diversi anni ha attivato una politica di ricollocazione del proprio personale. Per certi versi, quella del polo energetico di Ponte di Ferro potrebbe essere una metafora perfetta per descrivere la situazione dell’intero comune, che vede progressivamente scemare le opportunità di lavoro fornite dal territorio, negli ultimi sei trimestri si sono perse 34 imprese, e si dimostra incapace di reagire. Perché a ben vedere, la triste verità che si nasconde dietro allo spopolamento è la rassegnazione. Quel rattrappimento di ali che Gaber diagnosticava al popolo comunista dei suoi tempi, si è fatto ormai contagioso ed ha colpito l’intera società civile italiana, sempre più sfiduciata, sempre più intenta a riporre le proprie speranze altrove. Eppure, l’unico vantaggio dell’indecente sistema economico che signoreggia sui nostri tempi è che per lo meno sa farsi veicolo di opportunità. E ovviamente non parlo solo dell’ormai evidentemente sovrastimata valorizzazione delle peculiarità, tanto artistiche quanto enogastronomiche, del nostro territorio. Parlo bensì della capacità di leggere le situazioni che si profilano al mutare dello status quo. Con la sostanziale dismissione del settore produttivo statale a favore dell’economia di mercato più concorrenziale, è entrata in crisi l’Italia intera, perché un tessuto sociale fondato sulla famiglia come il nostro non è in alcun modo adatto al mantra dell’“elasticità” sul lavoro tanto caro ai politicanti contemporanei. Quindi? Quindi, visto che del lavoro non si può fare a meno, si inizia a fare a meno di quello che ormai è diventato d’intralcio alla possibilità stessa di lavorare: la famiglia. Ogni politica statale intenta a contenere tale fenomeno si è rivelata fallimentare perché è la scelta stessa di un modello economico tanto distante dall’umanità degli individui che ne fanno parte a renderlo inevitabile. Solo chi può contare, guarda caso, sull’aiuto dei genitori rischia qualcosa in più e fa un tentativo, ma sarà difficile che questo paradigma lavorativo non ci imponga giocoforza anche un diverso paradigma a livello di struttura sociale. Per questo l’innovazione è indispensabile, perché dalla realizzazione di un sistema economico umanamente sostenibile passa la possibilità stessa di dare un futuro al posto dove siamo nati, vissuti e cresciuti, sia esso Gualdo, o l’Umbria o l’Italia intera. Il primo passo? Abituarsi all’idea che non tutto il male viene per nuocere. Ha chiuso l’ultimo mini market del centro storico? Perché non provare ad organizzare un servizio di consegna della spesa a domicilio, magari con un’app; infondo, quando non si ha niente, cosa c’è di meglio che provare ad investire su se stessi e sulle proprie idee?