Che l’Umbria fosse non solo terra di santi ma anche, e soprattutto, terra ricca di arte è ormai un fatto assodato; Gualdo Cattaneo, come abbiamo avuto modo in precedenza di dimostrare, non è di certo da meno. Il nostro splendido territorio ha infatti dato i natali a un importante scultore che nell’Urbe e nel Lazio in generale ha lasciato traccia della sua opera. Sto parlando di Paolo da Gualdo Cattaneo.
Come spesso accade per artisti del passato, le notizie sulla sua vita non sono molte e alcune sono deducibili direttamente dai suoi lavori. Sappiamo che nacque approssimativamente prima del 1380 perché nell’epigrafe incisa sulla fronte del sarcofago di Bartolomeo Carafa della Spina (deceduto il 25 aprile 1405) da lui realizzato e presente in S. Maria in Aventino a Roma, il suo nome, apposto a firma dell’opera, è accompagnato dalla qualifica di magister, per la quale occorreva aver compiuto 25 anni.
Da una analisi delle sue opere possiamo ipotizzare un suo periodo di formazione nel nord Italia, forse proprio presso il grande cantiere del Duomo di Milano poi abbandonato, come fecero tanti artisti, a seguito della morte di Gian Galeazzo Visconti, avvenuta nel 1402.
Dopo questa prima fase di formazione, si sarebbe successivamente spostato più a sud fino a raggiungere Roma. Qui ha saputo intercettare una certa committenza che ha particolarmente gradito il suo stile cavalleresco, tipico dei sepolcri settentrionali. Fu soprattutto l’entourage napoletano, raccolto attorno a Bonifacio IX Tomacelli (da lui ritratto nell’immagine onoraria oggi nel chiostro della basilica romana di S. Paolo fuori le Mura), ad apprezzare la sua cifra stilistica.
Non si conoscono la data e il luogo della morte di magister Paolo ma dopo il 1417 di lui non si hanno più notizie. Fu attivo quindi nei primi due decenni del XV secolo.
Tra le opere, autografe e attribuite, abbiamo il già citato sarcofago per Bartolomeo Carafa della Spina, dell’Ordine di San Giovanni in Gerusalemme (morto il 25 aprile 1405) che si trova in S. Maria in Aventino a Roma. Inizialmente l’opera sepolcrale si trovava nella basilica di S. Pietro in Vaticano, nella cappella della Vera Croce, e fu poi spostata nel 1611 quando subì i restauri piranesiani. Dell’opera rimane il sarcofago con gisant (scultura funeraria dell’arte cristiana raffigurante un personaggio sdraiato, incisa o scolpita a bassorilievo o ad altorilievo) in abito militare.
Nella stessa chiesa abbiamo, dello stesso artista, il monumento funebre per il viterbese Antonio de’ Vecchi, vescovo di Fermo (morto il 21 giugno 1405). Realizzato probabilmente qualche mese prima del monumento per la sepoltura del Carafa, dell’opera sopravvive soltanto la mutila lapide firmata «[pavlvs d]e gvaldo fecit»: l’indicazione del luogo natale – assente negli altri monumenti romani autografi – suggerisce che lo scultore non fosse ancora noto a Roma. L’epigrafe fu rinvenuta nel 1776 nel corso dei lavori di abbattimento della Sagrestia Vecchia della basilica Vaticana e collocata nelle Sacre Grotte, dove tuttora si conserva, nel corridoio della Cappella Ungherese.
L’effige di Bonifacio IX è raffigurata assisa su un trono recante sui fianchi gli stemmi papali riprodotti a rilievo. Fonti cinquecentesche la ricordano sulla controfacciata della basilica ostiense, a destra del portale maggiore, accanto all’altare intitolato a S. Paolo. L’opera subì vari spostamenti prima di essere collocata nel chiostro della basilica romana di S. Paolo fuori le Mura, dove si trova tutt’ora.
A lui è stilisticamente attribuito il complesso funerario dei fratelli dell’Anguillara – Francesco (morto nel 1406) e Niccolò (morto nel 1408) – eretto nella chiesa di S. Francesco a Capranica di Sutri, già intitolata a S. Lorenzo e realizzato approssimativamente entro la fine del primo decennio del 1400. Il monumento segue la tradizione napoletana delle doppie sepolture.
Alla fine del secondo decennio del Quattrocento risale l’esecuzione del monumento funebre del cardinal Pietro Stefaneschi (morto il 31 ottobre 1417) nella basilica di S. Maria in Trastevere, firmato magister paulus in calce all’epigrafe.
Nello stesso anno, 1417, Riccardo Gattola di S. Giacomo (morto dopo il 1420), nobile di Gaeta documentato al servizio di Ladislao di Durazzo in qualità di comandante di Castel Sant’Angelo a Roma, richiese a «magistrv pavlv de gavlv catanii» la realizzazione del proprio sepolcro, come si evince dall’epigrafe in volgare. L’opera, smembrata a seguito delle requisizioni napoleoniche, è in parte conservata al Museo Bardini a Firenze e al Walters Art Museum a Baltimora.
Un’altra opera firmata «m[agister] pavlvs de gvaldo cattanie» è il monumento funebre di Briobris, figlio naturale di Giovanni Sciarra di Vico, signore di Vetralla, premorto al padre all’età di trentatré anni e documentato soltanto dall’epigrafe incisa sulla fronte dell’urna sepolcrale, databile tra la fine del secondo decennio e gli inizi del terzo decennio del 1400. Ne rimane il sarcofago con gisant.
Sempre da un monumento funebre provengono probabilmente due statuette maschili a lui attribuite e conservate presso il Museo Civico di Spoleto.
Come spesso accade, e come spesso è prassi nella storia dell’arte, in assenza di precise e numerose fonti si procede all’attribuzione di opere a un dato artista grazie all’osservazione e al confronto. La cifra stilistica di Paolo da Gualdo Cattaneo è stata infatti riscontrabile in numerosi e importanti monumenti funebri, nel quale sembrerebbe essere stato uno specialista grazie anche, probabilmente, alla sua capacità di saper interpretare le esigenze e il gusto della committenza ecclesiastica che al contempo ha apprezzato la sua proposta.
Allo stesso tempo, se osserviamo l’iter di formazione del magister Paulus, ricostruito dagli storici dell’arte, si evince come per poter esprimere il suo potenziale artistico, e quindi per necessità lavorative, abbia lasciato la campagna dell’entroterra umbro alla volta del nord, meta sicuramente più ricca di opportunità da questo punto di vista, oggi come allora. Da lì poi, con il bagaglio di esperienza di tutto rispetto presso il più importante cantiere del nord Italia a quel tempo, ridiscese la penisola per stabilirsi in una zona a lui più congeniale dove ebbe la possibilità di esprimersi, lavorare e ritagliarsi il suo angolo di successo e di affermazione.
L’inesorabile ciclicità della storia.
Bibliografia:
- Neri Lusanna, Gli inizi di Paolo da Gualdo: vecchi equivoci sulla sua formazione e nuove proposte, in Studi di storia dell’arte, XX (2009), pp. 53-72.
- Pasqualetti, Paolo da Gualdo Cattaneo: uno scultore umbro a Roma e nel Lazio agli inizi del Quattrocento, in Prospettiva, 2001, pp. 12-46 nn. 103-104.