Uno sguardo al mondo dal nostro borgo disperso. Attraverso le nostre pubblicazioni a volte usciamo dalle questioni locali affrontando anche temi di ampio respiro, questa volta lo facciamo parlando del conflitto Israelo Palestinese; lo facciamo perché quello che accade fuori dal confine comunale ci riguarda e ci coinvolge. La “guerra grande in Terrasanta“, altro tassello della guerra mondiale a pezzi di cui parla anche Papa Francesco, oltre a causare morti, devastazioni e orrori ha conseguenze economiche e sociali che già arrivano a Gualdo Cattaneo proprio dentro le nostre case: basta pensare alla recessione alle porte, alla crisi energetica e all’immigrazione tanto per fare alcuni esempi. A questo aggiungiamo il rischio escalation che non dobbiamo sottovalutare con la consapevolezza che in passato le guerre, prima di diventare mondiali, sono entrate nella testa e nella routine delle persone: il conflitto reso normale nell’opinione pubblica, la battaglia mitizzata, gli strumenti di morte (le armi) normali attrezzi di lavoro di un mestiere come un’altro, il soldato. Ecco quindi che è necessario riflettere su ciò che accade apparentemente lontano per evitare di abituarci a pensare che non ci siano alternative; dobbiamo analizzare i fatti e opporci all’idea che tutte le ingiustizie del mondo, anche la guerra, siano “legge di natura”. Naturalmente ognuno può leggere articoli migliori e opinioni più autorevoli ma malgrado ciò, riteniamo necessario fare la nostra parte. Questa volta per “connettere” Gualdo Cattaneo al mondo proviamo a guardare l’orizzonte attraverso gli occhi di un nostro concittadino Italo Palestinese chiedendogli alcune riflessioni su ciò che sta accadendo a Gaza. Proponiamo in questo pezzo un’intervista a Taisir Marei, Gualdese che oltre ad aver sempre sostenuto la causa per il suo popolo, è stato a lungo protagonista della politica locale ricoprendo in passato anche la carica di Consigliere Comunale d’opposizione per Rifondazione Comunista.
Immagino che in questi giorni sia una grande sofferenza per un Palestinese osservare ciò che sta accadendo nella sua terra
Sicuramente essere Palestinese non è facile oggi così come non lo è stato nei passati anni, la sofferenza è continua specialmente per tutti quelli che sono stati allontanati con la forza dalle proprie abitazioni, dalle proprie proprietà e dalle proprie città: parlo di quello che è accaduto a milioni di Palestinesi e che molti anni fa è toccato alla mia famiglia.
Prima di riflettere su ciò che sta accadendo oggi raccontaci della tua vita e delle tue origini
Mio padre era originario di Jaffa nell’odierna Tel Aviv e mia madre di un villaggio di nome Salamen. Mio nonno è stato anche il sindaco della sua città. Ci sono stati dei momenti in cui in Palestina era possibile convivere e volersi bene. Mio nonno ad esempio faceva parte del partito Comunista Palestinese, e in quel partito in cui negli anni trenta militavano Ebrei, Musulmani e Cristiani ci si batteva insieme contro l’occupazione inglese. La mia famiglia dopo la nascita dello stato Sionista è dovuta scappare prima a Karame attualmente in Giordania e, luogo simbolo di una battaglia del 1968 in cui per la prima volta le truppe Israeliane sono incappate in una sconfitta per mano della resistenza Palestinese, poi a Nablus in Cisgiordania ed è lì che io ho vissuto da giovane.
Ed è a Nablus che hai fatto le tue prime esperienze politiche e che sei diventato un attivista per la liberazione della Palestina?
La mia famiglia era benestante, negli anni sessanta ero uno studente borghese e sono stato membro di Al-Fatah: lottavamo contro l’occupazione Israeliana a Nablus allora chiamata “monte del fuoco” poiché, malgrado la potenza dell’esercito Israeliano non riuscivano ad entrare e prendere quella città. Nei primi anni ‘70, quelli conseguenti al famoso settembre nero, senza l’appoggio della Giordania abbiamo subito grandi sconfitte: molti ragazzi e militanti in Cisgiordania vennero uccisi in quel periodo. Naturalmente la mia famiglia non sapeva della mia affiliazione e delle azioni militari a cui prendevo parte. Dopo i diciotto anni mio padre ha insistito per mandarmi a studiare all’estero, io mi sentii in obbligo di ubbidire al volere della mia famiglia e nel ‘72 arrivai in Italia per studiare. La voglia di lottare per la liberazione delle nostre terre rimase intatta malgrado la distanza, io fino al 1978 ho militato per al Al-Asifah braccio armato di Al-Fatah. Quando tornavo in Palestina con la scusa delle vacanze prendevo parte ad azioni militari di resistenza contro l’esercito di occupazione israeliano. In quell’anno lo Shin Bet arrestò alcuni membri della cellula di cui facevo parte, grazie al coraggio dei compagni che non hanno parlato ho avuto tempo insieme agli altri rimasti liberi di scappare. Fino al 2016 non sono potuto rientrare a Nablus malgrado gli accordi di Oslo a cui la mia organizzazione aveva aderito. In Italia negli anni ‘70 venivamo sostenuti dal punto di vista politico sia dal Partito Comunista che dalla Cgil che si adoperavano per spiegare al popolo italiano quale fosse la nostra condizione e le ragioni della nostra battaglia. Ho partecipato a Perugia a tante iniziative di solidarietà organizzare a sostegno del popolo palestinese
Secondo te quanto sono stati di supporto realmente i paesi arabi e quindi la lega araba nell’applicazione del diritto internazionale che, fin dal 1947 con la risoluzione 181 dell’Onu prevedeva la costituzione di due popoli e due stati in quel territorio?
Voglio essere onesto, a mio avviso la lega araba era una cosa morta ancor prima di nascere poiché sono stati gli stessi paesi occupanti imperialisti che ne favorirono la creazione per difendere i propri interessi, poco poteva quindi essere d’aiuto alla causa del popolo palestinese. Molti eserciti arabi nel quarantotto, complici del disegno sionista britannico, convincevano i palestinesi ad allontanarsi dalle proprie terre con la promessa che una volta vinta la guerra sarebbero rientrati; puntualmente le sconfitte militari subite portavano alla perdita di pezzi di territorio e all’allontanamento definitivo dei Palestinesi. Anche oggi se guardiamo a cosa sta accadendo a Gaza la sensazione è che attraverso il terrore e con la della guerra si voglia ripercorrere quella strategia: far muovere e spostare i palestinesi per poi non farli più tornare, una nuova Nakba
Arriviamo quindi ai nostri giorni e al terribile attacco del 7 ottobre di Hamas contro Israele, noi occidentali ci siamo svegliati di colpo e stiamo riscoprendo oggi la questione israelo-palestinese che avevamo rimosso. Cosa è successo e come mai Hamas sembra così ben vista dai Palestinesi?
I patti di Oslo avevano dato una speranza di pace, il popolo palestinese aveva riposto molta fiducia in quell’accordo, avevamo fatto delle rinunce e delle concessioni rispetto a quelle che erano le rivendicazioni di decenni di lotta: abbiamo riconosciuto Israele e il suo diritto ad esistere, abbiamo rinunciato a rivendicare la Palestina Storica oltre ad aver rinunciato alla lotta armata. Dopo l’assassinio di Rabin, è iniziata da parte Israeliana una nuova fase di politica aggressiva nei confronti dei palestinesi, aggressività mai osteggiata o addirittura alimentata dagli Usa. Arafat è stato isolato politicamente e fisicamente già prima della sua morte, la dirigenza di Al Fatah ha raggiunto livelli altissimi di corruzione, in Cisgiordania i Palestinesi fatti rientrare dagli Stati limitrofi e assoldati da Al Fatah hanno fatto i “cani da guardia” degli Israeliani: tutti questi aspetti hanno creato amarezza nel popolo. C’è stata la sensazione che i patti di Oslo siano stati una scusa per fermare l’intifada e la resistenza. Questa grande delusione insieme alla forte ripresa della colonizzazione della Cisgiordania da parte di estremisti Israeliani e dei governi di destra che si sono succeduti, alla segregazione della striscia di Gaza, alle continue difficoltà provocate dai Checkpoint, alle discriminazioni e alle violenze subite nell’indifferenza dell’occidente hanno portato alla crescita esponenziale di Hamas.
C’è oggi un’altra proposta politica attiva oltre ad Hamas a Gaza?
Come sappiamo Hamas focalizza le simpatie e l’appoggio della gente, io penso che se si andasse ad elezioni Al-Fatah la voterebbero solamente gli stipendiati. Esistono comunque ancora frammenti del vecchio fronte di liberazione nazionale della Palestina e l’unica persona che potrebbe essere in grado di unirli sotto un’unica bandiera facendo anche perdere consenso ad Hamas potrebbe essere Marwan Barghuthi, lui è un ex membro di Al Fatah protagonista della prima e della seconda intifada ma anche firmatario degli accordi di Oslo. Oggi lui si trova rinchiuso nelle carceri Israeliane, ha subito un processo in cui non si è difeso ritenendo illegittimo quel tribunale. Potrebbe essere la figura giusta per il futuro politico dei palestinesi
Pur nell’inaccettabilità delle azioni, Hamas che al ritratto del popolo palestinese come vittima, sostituisce la rivendicazione della questione politica palestinese ossia la restituzione del diritto a tornare a casa, sempre negato dopo la Nakba, è possibile che Netanyahu voglia distruggere Hamas per cancellare anche questa rivendicazione politica, infondo legittima?
Netanyahu ha fatto male i suoi calcoli, ha distrutto sia gli accordi di Oslo sia l’autorità palestinese: ha usato Hamas come un ariete per fermare la possibilità di costruire un vero stato palestinese, gli andava bene lo “staterello” della striscia che pensava di poter controllare, dopo il 7 ottobre Israele si è reso conto di essere vulnerabile
Quale percezione si ha e si è avuta in passato, delle posizioni dei Grandi del Mondo e come questi hanno, nel tempo, influenzato la situazione politica di Israele e Palestina?
Nel ‘48 il primo stato ad aver riconosciuto Israele è stato la Russia e quel rapporto non si è mai reciso, pensiamo solo agli attacchi mirati in Siria di Israele su cui Putin non ha mai detto una parola. Negli USA c’è una lobby Ebraica potentissima che condiziona da sempre le scelte politiche nell’area degli Stati Uniti. In Europa e in Italia se da un lato le forze storiche della Sinistra hanno solidarizzato con i diritti e le battaglie del popolo Palestinese, ho già parlato delle mie esperienze con Cgil e Partito Comunista degli anni ‘70 e ‘80, è prevalso il sentimento di colpa nei confronti del popolo Ebraico per quello che era successo con Hitler, perché occorre dire che oggi si accusa gli arabi di antisemitismo ma il genocidio nei loro confronti è stato perpetrato in Europa
Riguardo al futuro tu pensi ancora che sia possibile la soluzione di due popoli e due stati di cui si è tornato a riparlare o alla fine si dovrà trovare un’altra soluzione?
Secondo me la soluzione di due popoli e due stati è ancora percorribile. Certo Israele e il suo popolo hanno subito un grande shock il 7 ottobre e qualche conseguenza ci sarà: per prima cosa io penso che la gente in Israele si è convinta anche inconsciamente che pur distruggendo Hamas, se non si risolve la situazione del popolo palestinese in maniera definitiva concedendo un vero Stato, loro saranno sempre in pericolo. Secondo una guerra lunga e sanguinosa come quella che si prospetta a mio avviso rischia di fare più male ad Israele e alla sua economia che al popolo palestinese purtroppo abituato a grandi privazioni e a grandi sofferenze. Terzo è probabile che molti israeliani decideranno di lasciare lo stato ebraico non sentendosi più sicuri. Se a questo aggiungiamo che a mio avviso la vera sinistra Israeliana avrà un forte rilancio perché l’incapacità di Netanyahu e la miopia delle scelte politiche del suo governo estremista e fascista sono sotto gli occhi di tutti, ci sono i presupposti per ricostruire un dialogo partendo dai due popoli e i due stati
Il governo Netanyahu giustifica la guerra alla striscia di Gaza per cancellare Hamas. Secondo te in che maniera può essere sconfitto Hamas e il forte islamismo che ormai permea anche la società palestinese?
Ritorno alle nostre radici, il popolo palestinese storicamente è stato sempre tollerante ed aperto, siamo un popolo variopinto e le differenze religiose non hanno creato per secoli nessun genere di problema, siamo Palestinesi prima che Musulmani, Cristiani o Ebrei. Faccio questa premessa per dire che Hamas a mio avviso è solamente la forza che attualmente incarna lo spirito di resistenza contro l’occupazione in Cisgiordania, ed è l’unica speranza per gli abitanti di Gaza che grazie ad Hamas mangiano, studiano, si curano ed ottengono qualche diritto. Dal momento in cui Israele allenterà la pressione, dal momento in cui l’occupazione finirà e si riparlerà di diritti sociali per il popolo palestinese Hamas si sgonfierà immediatamente
Si ma come si fa a trattare con un’organizzazione terroristica che ha nel proprio statuto la distruzione di Israele?
Anche Al-Fatah non riconosceva Israele, voleva la sua distruzione, era considerata organizzazione terroristica e rivendicava come Palestina tutto il territorio che va dal Giordano al Mediterraneo, proprio come Hamas oggi. Poi però siamo arrivati alla rinuncia della lotta armata e agli accordi di Oslo. A volte si chiede tanto per ottenere qualche cosa
Ti chiedo l’ultima riflessione sul pericoloso sentimento anti ebraico che sembra riaffiorare nel mondo occidentale e che cresce nel mondo arabo
L’Europa è cambiata rispetto al passato: quella tollerante degli anni ‘70 e ‘80, in cui c’era dialogo e solidarietà non esiste più. Oggi in Europa il pericolo fascismo è forte, in Italia per me la destra è sempre quella razzista del passato: di facciata e per responsabilità di governo si ergono a difesa d’Israele ma poi vanno ad inaugurare ed intitolare piazze ad Almirante redattore del periodico “la difesa della razza” che insieme alle “leggi razziali” portarono alla svolta antisemita del regime fascista. Oltre a ciò è cambiata dal punto di vista etnico, oggi vivono qui milioni di persone di origine araba e molte di queste persone, specialmente i giovani di seconda generazione sono vissuti in un contesto di degrado materiale e culturale, non sono stati pienamente integrati e in questa condizione spesso si insinua un’errata visione delle tradizioni islamiche. Molto spesso questa frustrazione e ignoranza viene scaricata contro gli Israeliani, molti di questi arabi anti israeliani non hanno bevuto la tradizione araba tollerante del medio oriente. Questa cosa fa comodo naturalmente ai neo razzisti che oltre a veder colpiti gli Israeliani, possono attaccare l’immigrazione e l’Islam. Senza una rinascita della vera cultura di sinistra tollerante e multietnica, vedo momenti brutti all’orizzonte per l’Europa.
Aggiungo che molto spesso si è confuso e sovrapposto l’antisemitismo con le critica e le protesta contro il Governo Israeliano, le proteste contro le violenze e l’estremismo di Netanyhau e dei suoi ministri. Negli Usa gli stessi Ebrei sono scesi in piazza contro ciò che stava accadendo a Gaza e questo non è un caso. Nelle Università si protesta non contro gli Israeliani in generale ma contro le scellerate scelte del Governo di quel paese che, con questa guerra violenta, disumana e senza regole sta martoriando un popolo. Io credo che la religione non c’entri niente con le critiche, è una questione di umanità e di intelligenza, opporsi a questa violenza indiscriminata significa tentare di lasciare accesa una speranza di pace per il futuro.