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Domenica scorsa (12 novembre ndr) il candidato al Consiglio Regionale Umberto Bonetti ha coordinato una raccolta firme a supporto della sua osservazione formale agli organi del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Questi ultimi sono stati recentemente chiamati ad effettuare una valutazione di impatto ambientale per il progetto di realizzazione di un impianto agrivoltaico da 30 Ha nel comune di Bevagna. L’iniziativa ha riscosso un certo successo viste le circa 150 firme raccolte in poco più di un paio d’ore, ma ha anche spinto alcune persone a manifestare delle perplessità riguardo al tema. Agricoltori interessati alla possibilità di mettere a reddito terreni altrimenti scarsamente produttivi, ingegneri del settore energetico, ma anche semplici cittadini, si sono rivolti proprio a me per chiedermi conto del supporto che ho fornito all’iniziativa. Questo pezzo nasce dalla necessità di dare risposte a queste persone e per provare a stimolare ulteriori riflessioni sul tema. 

 

Andando con ordine, pochi giorni fa è balzata all’attenzione dell’opinione pubblica dei cittadini del Comune di Bevagna, la presenza di questo mega progetto d’investimento, finanziato con fondi PNRR, per realizzare sulle colline che dividono la frazione di Torre del Colle da quella di Cantalupo, un impianto per la produzione di energia elettrica tramite l’installazione di pannelli fotovoltaici sopraelevati (appena oltre i 3 m) su terreni agricoli. Nello specifico, l’azienda che ha presentato il progetto non è un’azienda agricola proprietaria dei terreni ma una società che si occupa di investimenti nel settore energetico, la S.S.G. srl, che quindi, o ha preso in affitto i terreni o ha stipulato degli accordi con i proprietari. La superficie interessata dal progetto, fra spazi occupati da pannelli (40.000 moduli FV per intenderci) , cabine, strade e tare per le recinzioni, supererebbe i 30 Ha e riuscirebbe a produrre intorno ai 27Mwp incrementando, di fatto, il bilancio delle rinnovabili di tutta la regione. Un’ottima notizia per certi versi, perché è ormai noto che la lentezza con cui si sta procedendo alla transizione energetica è uno dei fattori che stanno contribuendo al rischio, sempre più alto, di non riuscire a mantenere il surriscaldamento globale all’interno dei limiti fissati dall’Accordo di Parigi. Tuttavia, non senza conseguenze, almeno secondo molti attori tra cui lo stesso consiglio comunale di Bevagna e la Provincia di Perugia, che hanno prodotto tutta la documentazione politica e tecnica necessaria a manifestare il loro disaccordo con il progetto, ma anche associazioni del settore come Coldiretti, Legambiente e La strada del Sagrantino hanno presentato osservazioni formali con molte riserve. Questo dunque è lo stato delle cose al 10/11/2024, ultimo giorno utile per presentare osservazioni formali da protocollare a mezzo PEC proprio al suddetto Ministero.

 

Prendere posizione su argomenti di tale complessità non è mai semplice e il rischio di scivolare è molto concreto. Soprattutto per dei ferventi sostenitori dell’importanza di velocizzare le misure per la transizione energetica e la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, come chi scrive e molti dei firmatari della petizione. Non sarà che ripresentiamo ancora una volta il classico modello del sì questa cosa è giusta e va fatta, ma non qui?! Non sarà, come per gli inceneritori, le infrastrutture ad alto impatto visivo, ecc. che per tanti, riconoscerne l’utilità è tanto facile quanto lo è fare di tutto pur di non averli vicino?! Rimandando sempre all’altrove quale giusta collocazione geografica delle opere, in una logica che è terribilmente simile a quella che per decenni ha guidato l’approccio umano ai rifiuti o all’inquinamento da attività produttive. C’è sempre un altro posto in cui collocare ciò che non ci piace. Ecco, questo è senz’altro il più insidioso degli impasse che la questione mi ha sottoposto sin da subito. La riflessione che ne è scaturita, mi ha portato ad individuare delle argomentazioni che si possono riassumere in 3 punti:

 

1 – Tanto la normativa nazionale (DL 63/2024) quanto quella regionale (Regolamento Regionale 12/07/2022) si sono espresse contro l’installazione di pannelli solari su terreno agricolo ( anche nell’ipotesi di volerci coltivare sotto, 3 metri di altezza dei pali significa totale inaccessibilità per tutta una serie di mezzi – soprattutto la trebbia – , l’ombreggiatura sarebbe comunque notevole e riesce difficile immaginare colture meccanizzabili);

 

2 – Ammenoché non si intenda inserire l’elettricità all’interno dei prodotti agricoli, e poiché la natura del richiedente come le dimensioni dell’impianto, risulta difficile riuscire ad immaginare questo investimento come una manovra da inserire nell’ambito dell’agricoltura. Questa non è integrazione al reddito degli agricoltori, ma un’operazione di speculazione a mezzo fondi PNRR che trasforma un’area agricola in una di fatto industriale. Quantomeno sarebbe opportuno variare la destinazione dei terreni a mezzo PRG con tutte le implicazioni conseguenti – soprattutto fiscali;

 

3 – Ultimo ma non ultimo, l’inevitabile danno d’immagine che si andrebbe ad arrecare non tanto al paesaggio in sé, ma a tutte le persone che in virtù di quel paesaggio hanno deciso di rimanere a vivere, o peggio di investire soldi e futuro con delle attività, in questo territorio. Insomma, gli inevitabili danni che si arrecherebbero a chi di quel paesaggio ci campa. So che questo è il più “morale” e allo stesso tempo rischioso degli argomenti, però al netto delle possibili storture cui può prestare il fianco, io sento che in sé conserva un fondo di giustizia. In agricoltura si dice “la terra è di chi ci fatica”, questa vicenda credo possa autorizzarci a traslare il concetto anche sul territorio, sul paesaggio. Deve essere soprattutto di chi ci fatica. Nella vita quotidiana per fare i conti con i servizi che mancano e la scomodità. Nel lavoro, facendo tutto il possibile per restare in attività – dai matrimoni al turismo lento dalle degustazioni agli eventi sportivi. 

 

C’è tutto un mondo che proprio in quello specifico pezzetto di mondo ha fondato la propria vita sul paesaggio, calpestarlo non sarebbe giusto, nemmeno in nome di una cosa giusta. Soprattutto perché non credo che si possa demandare alle logiche di mercato l’onere di perseguire la giustizia. Anche perché il mercato, per essenza, persegue il profitto a qualsiasi costo e può fare una cosa moralmente giusta solo per accidente o se glielo impongono i vincoli posti dalla politica; quindi senza meriti. Sono gli essere umani con le proprie scelte a delimitare il perimetro di legittimità del profitto, o almeno dovrebbero, perché difendere il clima non può significare aumentare le disuguaglianze sociali, dovrebbe anzi ridurle. Perciò facciamo una cosa, copriamo prima tutti i tetti, tutti i parcheggi, tutte le aree industriali, i centri commerciali, le discariche, le piattaforme in mezzo al mare, ogni singolo cm di suolo cementato prima. E poi, se proprio non dovesse bastare, ragioniamo su quanti e quali appezzamenti agricoli usare per produrre energia elettrica. Infondo, se l’interesse è davvero quello di migliorare il mondo, mi sembra un buon punto di partenza per farlo rispettando tutti no?!

 

Andrea Cimarelli

Andrea Cimarelli

Andrea Cimarelli è laureato in Filosofia all'Università degli Studi di Macerata. Coltiva, la terra per mestiere, l'amicizia per passione, se stesso per vocazione. Già redattore della rivista Ritiri Filosofici, osserva il mondo per comprenderlo e difenderlo. Collabora attivamente con l'hub Territorio e Ambiente della Rete di Civici Per l'Umbria. Favorevole a vaccini, matrimoni gay e 5g.

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