L’inizio della stagione venatoria umbra ha preso il via lo scorso primo settembre e oltre al rumore dei colpi di fucile, si è udito l’eco delle polemiche. Infatti più che le proteste delle associazioni animaliste che vorrebbero l’abolizione della caccia, forti sono state le critiche degli stessi cacciatori. Il calendario venatorio della Regione Umbria prevede l’apertura dal 18 settembre al 30 gennaio per tre giorni a settimana nel periodo che va da ottobre a gennaio con ulteriori due giornate per la caccia d’appostamento alla selvaggina migratorio nel periodo compreso dal 3 ottobre ed il 27 novembre. Un calendario in linea con quello della scorsa stagione con l’unica eccezione per la caccia al cinghiale che sarà aperta dal 16 ottobre al 23 gennaio (due settimane in ritardo rispetto al passato). Lo scorso giovedì è stata quindi una giornata in deroga, figlia delle pressioni della Lega fatta all’assessore Morroni: dopo quattro anni e le disattese promesse di più libertà fatte ai cacciatori, non si poteva saltare per l’ennesima volta la preapertura. A volte però la pezza e peggio del buco e le modalità per questa giornata di caccia hanno scontentato il popolo delle doppiette. Prelievo della sola specie della streptotelia Turtur (tortora selvatica) per un numero massimo di 5 capi per cacciatore fino al numero complessivo di 2.917 esemplari. Registrazione in tempo reale degli abbattimenti nell’apposito applicativo web e sospensione dell’attività venatoria una volta ricevuto il messaggio del raggiungimento del carniere complessivo regionale prefissato. I punti della discordia che hanno fatto agitare i cacciatori sono stati soprattutto l’applicativo web, di difficile utilizzo per una numerosa fetta di cacciatori con un basso livello di competenze digitali, il numero di capi potenzialmente abbattibili totali troppo esiguo rispetto al numero di praticanti e la mancata possibilità di effettuare il prelievo venatorio anche di altre specie come nelle regioni limitrofe. Ecco dunque che qualcuno alla vigilia paventava addirittura un boicottaggio, segnare l’abbattimento di capi a prescindere per far fallire tutti. Se questo sia realmente accaduto non è possibili accertarlo, sta di fatto che pochi minuti dopo le nove della mattina la giornata di caccia era terminata con l’abbattimento di 2.393 uccelli e con la stragrande maggioranza dei cacciatori con il carniere vuoto. Più che una preapertura una caccia di selezione. Va detto che queste scelte sono state attuate a livello Regionale e sono figlie di direttive europee, piani internazionali per la conservazione e un piano di gestione nazionale approvato dalla conferenza stato regioni del 2/3/2022. Le 2.971 tortore abbattibili sono il 50% della media degli abbattimenti degli ultimi cinque anni come stabilito dal piano europeo e nazionale per i miglioramenti ambientali. L’applicativo web è frutto del piano di gestione nazionale in cui si stabilisce che “Le Regioni attuano sistemi di raccolta tempestiva dei dati di prelievo (es. Tesserino elettronico) e sospendono il prelievo in caso di superamento dei limiti stabiliti”. Tutto ciò per rispondere alla necessita di tutelare una specie che come molte altre è “in costante decremento nei monitoraggi effettuati a livello europeo, nazionale e regionale”. Ecco dunque che promettere più libertà e minor regole come ha fatto in maniera più o meno velata in passato la destra umbra per l’attività venatoria, è stato esercizio di pura propaganda. Le regioni possono fare delle scelte (legislative e organizzative) ma nel rispetto delle direttive comunitarie e nazionali condivise da tutti. La cosa che fa sorridere è che oggi, malgrado quelle promesse siano state sistematicamente disattese perché non si poteva fare diversamente, l’ubriacatura collettiva per la Presidente della Regione sembra ancora dura a morire e, se prima era tutto colpa del Governo Regionale, oggi le scelte che molti cacciatori giudicano sbagliate sono decisioni inevitabili che si fanno ovunque.
L’attività venatoria in Italia è regolata dalla legge n. 157/92 “Norme per la protezione della fauna omeoterma e prelievo venatorio”, in cui si stabilisce il principio secondo cui l’esercizio dell’attività venatoria è consentito, purché non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica. Se a ciò aggiungiamo i pareri dello scorso anno dell’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca Ambientale) che emette pareri sui calendari venatori regionali, secondo cui siccità e incendi hanno determinato una condizione di pregiudizio per la conservazione della fauna in ampi settori del territorio nazionale è opportuno probabilmente per i cacciatori iniziare a modificare il loro modo di intendere l’attività venatoria, ponendo lo sparo non come l’obiettivo principale ma come la fine di un processo, un’azione estrema e non una pratica da poligono. Cambiare la concezione del carniere che deve essere di qualità più che di quantità, poiché il cacciatore in quanto conoscitore degli animali si rende conto quanto, le specie selvatiche stiano diminuendo a causa dell’attività dell’uomo. Cacciare non può solamente significare uccidere tanti animali, in una cultura moderna dell’attività venatoria cacciare deve significa rispettare la natura: osservare la fauna, vivere in simbiosi con il proprio cane o con i propri richiami, fare attività fisica, conoscere i meandri più nascosti dei boschi e apprezzarli e tutelarli. L’esercizio dell’attività venatoria, anche nel nostro territorio, è oggi caratterizzato da comportamenti e attività virtuose e orrende pratiche al limite della legalità. Pensiamo alle due zone di ripopolamento e cattura del comune di Gualdo Cattaneo, gestite dalle associazioni venatorie in maniera ottimale, permettono a molti animali di trovare un’oasi tranquilla per potersi riprodurre e vivere. Pensiamo alla gestione di sentieri e boschi da parte dei cacciatori o ai praticanti che rispettano le regole (numero di abbattimenti e specie) e l’ambiente in cui praticano la propria attività. Esempi virtuosi che qualificano il cacciatore. Ma poi quando vediamo boschi e montagne invasi dalle macchine che sostanzialmente rovinano gli ecosistemi, bossoli lasciati ovunque nei luoghi di caccia, quando sentiamo spari che sembrano contraeree, quando pensiamo a carnieri pieni di specie protette, quando viene praticato turismo venatorio in paesi dove si fanno stragi di animali in barba a limiti e regole, vediamo il lato oscuro e barbaro della caccia che gli stessi praticanti dovrebbero combattere per tutelare la natura, gli animali e salvaguardare l’esistenza stessa della pratica venatoria.