In questo periodo di campagna elettorale estiva in vista delle prossime elezioni governative del 25 settembre, è riemerso da sotto al tappeto come una nebulosa la situazione socio-economica della donna in Italia a causa delle posizioni che hanno assunto alcuni politici nel corso del tempo su tale argomento. Si chiama Giorgia, è una donna ed è il candidato favorito della destra alle prossime votazioni eppure è l’emblema dell’antifemminismo: a favore di una società conservatrice, difensore della famiglia naturale, anti-abortista, paladina dei valori cristiani e in lotta contro l’ideologia gender (a chiarimento delle sue raccapriccianti posizioni invito a vedere il video del suo intervento di metà giugno in Spagna a sostegno del candidato Macarena Olona alla presidenza dell’Andalusia)[1].
Dopo decenni di lotta per l’emancipazione e l’uguaglianza di genere, qualche obiettivo a tutela della donna era stato raggiunto, ma la situazione è ben lontana dall’essere equa.
Gli aspetti che compongono questo vasto argomento sono tanti e complessi, pertanto in questo pezzo ho scelto di affrontarne alcuni, riguardanti più prettamente l’ambito economico, certa che troveremo in futuro occasione e spazio per approfondire anche gli altri.
Gender Gap: Italia al 63° posto[2]
Il Gender Gap è il divario tra uomini e donne calcolato tenendo conto di 4 ambiti di analisi: politica, economia, educazione e salute. L’Italia si attesta al 63° posto, tra le peggiori in Europa, continente nel quale spiccano per parità di genere Paesi come Islanda, Finlandia e Norvegia (3 nazioni guidate da tre giovani donne) che capeggiano la classifica mondiale[3].
Purtroppo il Covid ha peggiorato ulteriormente la situazione e si calcola che per chiudere il gap in Italia occorrono ancora 267,6 anni continuando di questo passo.
Dal rapporto annuale “Women in Business” di Grant Thornton si registra un leggero miglioramento: in Italia nel 2022 le donne detengono il 32% delle posizioni aziendali di comando, 2 punti percentuali in più rispetto al 2021. Le donne CEO sono salite al 20% mentre quelle con ruoli nel senior management al 30% nel 2022. Qualcosa si sta muovendo ma il gender gap rimane ancora molto ampio e l’Italia si posiziona ancora nelle retrovie.
Gap salariale o Gender Pay Gap
Si tratta della disparità, ancora esistente, tra gli stipendi delle donne e quelli degli uomini. Anche se l’accesso al lavoro è garantito, permane, celato o palesato, lo stereotipo maschilista che sia “giusto” che la donna, angelo del focolare, guadagni meno dell’uomo. Il contrario sarebbe un’umiliazione per l’ego maschile. Il gender pay gap può dipendere dalla minore partecipazione al mercato del lavoro, dalla mancata retribuzione per il lavoro domestico, fino a veri e propri casi di discriminazione e sottovalutazione del lavoro femminile. Un esempio su tutti? La presenza di figli e l’età, elementi che aggravano il gap. La consigliera dell’Onu per le donne Anuradha Seth, commentando il Rapporto dell’Onu sul gender pay gap intitolato “Lo stato della popolazione nel 2017”, ha parlato della questione come di un vero e proprio furto, “il più grande della storia”, facendo così chiaramente capire che è interesse anche delle Nazioni Unite abbattere le disparità salariali, che sono lo strascico inevitabile di retaggi in cui la società a stampo prettamente maschile è dominante. Tanto è grave il problema che nelle misure previste dal PNRR, “il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha predisposto un documento che analizza il contributo degli interventi previsti nel PNRR e presenta una valutazione ex ante sugli impatti che gli interventistessi possono apportare per ridurre il divario in molti ambiti”. In particolare, le risorse previste dal PNRR per interventi mirati alle donne o che potrebbero avere riflessi positivi, anche indiretti, nella riduzione dei divari attualmente presenti rappresentano oltre il 20% del totale (circa 38,5 miliardi). Eppure la legge, per tenere sotto controllo la situazione, in realtà, parla chiaro già da qualche anno: l’articolo 46 del Decreto Legislativo 11 aprile 2006 n. 198 (ex art. 9 L. 125/91), modificato dal D. Legislativo 25 gennaio 2010 n. 5 in attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione, prevede infatti che: “[…] Le aziende pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni e in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta”. Pensate allora a ciò che succede in un’economia basata sulla piccola impresa come è quella della nostra Regione.
Più che sesso debole quindi lo definirei sesso indebolito da qualche tipo di atavica repulsione e brama di sottomissione.
Donne e lavoro, una strada in salita[4]
La recente approvazione della legge n. 162/2021 segna un avanzamento in questa direzione, con l’allargamento della nozione di discriminazione diretta e indiretta e l’introduzione della certificazione della parità di genere a partire dal 1° gennaio 2022.
Ma qual è la situazione in Umbria?
Un primo dato positivo è che nel 2020 si è registrato l’aumento complessivo, in Umbria come in Italia, del numero di lavoratrici a fronte di un lieve calo degli uomini. L’esito di queste dinamiche ha fatto salire al 46,6% l’incidenza femminile tra i lavoratori (in Italia al 44,0% e al Centro-Nord al 45,2%). L’incremento delle posizioni lavorative nasconde in realtà un elemento di debolezza, perché in larga parte riconducibile alla componente occasionale, fortemente cresciuta rispetto al 2019 soprattutto tra le donne (+7.737 a fronte di +2.309 uomini).
In sintesi, le lavoratrici umbre, complessivamente pari a 172.252 unità nel 2020, sono per quasi la metà dipendenti private, per il 20% dipendenti pubbliche, per un 10% domestiche, per un 7% commercianti. Se spostiamo l’osservazione alla presenza in termini di tempo, quindi al reddito percepito, si evince una graduale diminuzione del contributo delle donne che scende, in Umbria, rispettivamente al 44,7% e al 38,9%. A questi dati si somma il gap inter e intra genere. Nel 2020 il reddito da lavoro medio delle donne, pari a 16.590 euro, è inferiore del 27% rispetto a quello degli uomini (22.721 euro). A questo svantaggio di genere si aggiunge una penalizzazione dovuta al contesto territoriale: tale reddito risulta più basso del 7,5% rispetto a quello femminile nazionale e del 12% rispetto a quello delle lavoratrici del Centro-Nord (con valori rispettivamente pari a 17.929 e 18.850 euro).
La distanza complessiva tra i redditi femminili e maschili in Umbria si propone per tutte le posizioni lavorative, seppure con diversa intensità: è massima tra le collaborazioni e le attività professionali ma di particolare rilievo, per importanza numerica, è il -32,7% riscontrato in corrispondenza dei dipendenti privati.
Il Covid ha inoltre acuito il gap di genere dovendo, le donne, madri di famiglia, far fronte durante il lockdown alle attività di DAD assistendo la prole per permettere loro di proseguire coi programmi educativi scolastici. Ciò ha comportato una contrazione nell’orario di lavoro e quindi nel salario percepito.
Contrazione retributiva: più penalizzati i laureati
In Italia nel 2019 la retribuzione oraria mediana è pari a 11,40 euro; il 10% dei lavoratori più pagati percepisce almeno 21,06 euro l’ora, mentre il 10% di quelli pagati di meno non supera gli 8,10 euro. I livelli retributivi, estremamente variabili, presentano valori minimi tra le donne e i più giovani, oltre che in corrispondenza dei più bassi gradi di istruzione, nelle imprese di piccole dimensioni, nel settore dei servizi, nei contratti a tempo determinato e in quelli part-time, nonché nelle realtà meridionali. Nella nostra Regione le retribuzioni mediane risultano costantemente inferiori rispetto al corrispondente valore nazionale. Il delta Umbria-Italia è del 2,7%, che sale al 7,8% considerando i valori medi, in virtù della distribuzione, nella regione, più omogenea e livellata verso il basso. Per i laureati il gap è più elevato. Tenendo conto del valore mediano delle retribuzioni per genere, titolo di studio, tipo di contratto, regime orario, qualifica contrattuale, classe di età, dimensione d’impresa, si evince che le distanze tra i livelli umbri e quelli nazionali toccano le punte massime in corrispondenza: dei lavoratori laureati (-12,4%), di quelli occupati nelle imprese con oltre 250 addetti (-6,1%), delle figure dirigenziali e impiegatizie (-5,9%), dei dipendenti con contratto a tempo pieno (-5,5%) e indeterminato (-5,3%), di quelli con 50 anni e più (-4,8%), delle lavoratrici (-3,0%).
Situazione nel Comune di Gualdo Cattaneo e supporti
Stando alle proporzioni e alle percentuali nazionali, considerando che il reddito medio pro capite del nostro Comune è il più basso tra quelli dell’Unione Terre dell’Olio e del Sagrantino (pari a €15.838), considerando il tessuto socio-economico del nostro territorio, le tristi conclusioni sono pressoché fatte[5].
Abbiamo potuto constatare dai dati precedentemente esposti che la maternità e l’essere madri determina uno svantaggio ulteriore e aggravante di una situazione economica già tristemente tendente al negativo.
L’amministrazione ha, in qualche modo, incentivato la maternità promuovendo due assegni, entrambi da €250,00 erogati una tantum, uno destinato alle future mamme (Future mamme 2022) e uno a incentivo della procreazione (Nasciamo a Gualdo Cattaneo 2022). Ma €500,00 una tantum non sono che toppe in un sistema fallato a priori che non incentiva la maternità ne assiste adeguatamente le famiglie in difficoltà economiche. Oltre ai contributi e ai sussidi economici per le nuove nascite, l’Amministrazione ha previsto nel DUP interventi a favore delle famiglie come l’assistenza alla prima infanzia, con particolare attenzione alle famiglie indigenti, e l’attivazione del progetto sportello donna con l’obiettivo, si legge, “di aiutare le donne in difficoltà a rafforzare la propria dignità e le risorse individuali, fornendo loro gli strumenti necessari per affrontare le condizioni che danno origine al disagio, attraverso un’azione sinergica con gli attori del territorio che secondo la propria specificità operano a sostegno e tutela delle donne”. La triste realtà della violenza psicologica e fisica, in ogni sua forma, è stata volutamente non affrontata i questo pezzo, come dichiarato in principio di stesura, per prediligere in questo caso la problematica economica; ciò non toglie che anche questo argomento, che verrà successivamente trattato, è presente e tangibile e ogni azione, se attuata con criterio, è utile al fine. Invece di continuare a gestire le conseguenze del problema, sarebbe il momento di occuparci delle cause.
Come abbiamo visto, la strada verso il cambiamento è ancora molto lunga: sta a noi il compito di resistere e a questa società di cambiare, affinché tutto cambi, con l’unico strumento possibile: la cultura[6].
[1] https://www.youtube.com/watch?v=jMad7nLO3OM
[2] Dati da un articolo de Il Sole 24 Ore del 31 marzo 2021 di Monica D’Ascenzo https://www.ilsole24ore.com/art/gender-gap-l-italia-sale-63-posto-ma-resta-i-peggiori-europa-ADyXOCUB
[3] Classifica stilata dal World Economic Forum su un panel di 156 Paesi al mondo.
[4] Relazione di Elisabetta Tondini del 7 marzo 2022 dell’Agenzia Umbria Ricerche qui https://www.agenziaumbriaricerche.it/focus/donne-e-lavoro-una-strada-in-salita/
[5] Dati estrapolati dal DUP 2021-2023 sui dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla base delle dichiarazioni dei redditi del 2019 relativi all’anno d’imposta 2018.
[6] “L’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo” da Enciclopedia Treccani, definizione del termine cultura.