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Quello che segue è il primo di una serie di articoli curati da Andrea Cimarelli, che si prefissano l’obbiettivo di approfondire la questione delle aree Interne, qual è la strategia nazionale per questi territori e come la Regione Umbria se ne sta occupando. Con un occhio aperto anche sulle scelte fatte da altri comuni italiani e i risultati che hanno saputo conseguire.

 

 

È uscito lo scorso luglio lo speciale curato dalla redazione di VITA – una piattaforma di attivismo civico che studia e lavora su temi molto affini a quelli del nostro blog – dal titolo Borghi futuri, per raccontare le storia di 35 piccoli comuni italiani situati nelle aree interne che hanno saputo trovare all’interno del proprio territorio e delle proprie comunità, le risorse giuste per rilanciarsi. Un’operazione di ricerca che offre la possibilità di confrontarsi non tanto con i risultati conseguiti, che nello specifico sono ovviamente espressione di peculiarità locali difficili da copiare, quanto piuttosto coi meccanismi messi in atto per affrontare una situazione ostile e ribaltarla. Di confrontarsi quindi con la creatività e il dinamismo di amministratori e comunità che hanno trovato la giusta chiave per creare valore. Una chiave che in ogni esempio passa sempre da un denominatore comune: la coesione.

 

C’è una cosa inoltre che colpisce più di altre nelle tante vicende narrate – dai Borghi della Val di Taro a Calascio, da Castel del Giudice a Castelpoto – l’assenza o quantomeno la grande distanza dei livelli intermedi della politica tra un piccolo comune e l’Europa. Non c’è praticamente spazio per le regioni o per lo Stato centrale, troppo concentrati su un approccio che potremmo definire “statistico”, cioè orientato a mantenere una media accettabile fra zone servite, vitali e connesse, e zone dimenticabili, se non già dimenticate. Ed è chiaro che non è facile pensare a un Governatore che si occupi di tutti le realtà amministrative della propria regione, ma è altrettanto chiaro che tanto più queste sono piccole, tanto maggiore è il loro bisogno di supporto per poter fronteggiare le difficoltà che incontrano. Dalla scarsità del personale negli uffici alla mancanza proprio fisica delle persone, è molto lunga la lista delle carenze con cui un comune medio-piccolo si trova a fare i conti e fa senz’altro riflettere come sia l’Europa l’interlocutore più capace di rispondere, seppure con mille ostacoli e limitazioni, alle loro esigenze specifiche. In un Paese che ha il 22,7% della popolazione residente in aree marginali (dati openpolis) il trend favorevole all’euroscetticismo degli ultimi anni dà da pensare. 

 

Ma di cosa parliamo quando ci riferiamo ad un’area interna?

 

La Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI) ne da questa definizione: «quella parte maggioritaria del territorio italiano caratterizzata dalla significativa distanza dai centri di offerta di servizi essenziali». Chiaro che attenersi a queste semplici parole solleva ulteriori interrogativi tipo cosa s’intende per “significativa distanza” e cosa per “servizi essenziali”, perciò nel tempo si è pervenuti a fare delle precisazioni. Ad oggi, si considera area interna – al netto di ulteriori sottocategorie – ogni comune che si collochi ad oltre 27,7 minuti di viaggio dal Polo più vicino. Dove per Polo s’intende quel centro abitato che soddisfi le seguenti caratteristiche: avere almeno un liceo e un istituto tecnico, disporre di un ospedale di primo livello d.e.a. ed ospitare almeno una stazione ferroviaria di tipo silver (con servizi anche di media e lunga percorrenza). Immediatamente al di sotto della soglia 27,7 troviamo i comuni Cintura, ossia quelle realtà amministrative che pur insistendo in un’area piuttosto periferica rispetto ai centri principali, tuttavia non risultano penalizzati da tale condizione grazie alla vicinanza. Andando nel dettaglio delle aree marginali, a scaglioni progressivi di tempo da percorrere si susseguono i comuni intermedi (tra 27,7 e 40,9), i comuni periferici (tra 40,9 e 66,9) e i comuni ultraperiferici (oltre i 66,9 minuti). Sorvolando sul frazionamento in centesimi del tempo che si misura in sessantesimi, la sensazione che questi numeri siano il frutto di un disegno che si voleva ottenere piuttosto che espressione di una strategia c’è. Soprattutto perché rispetto alla strategia precedente che vedeva in 20 minuti di distanza dal polo più vicino la soglia per rientrare in un’area interna, si è voluto procedere a un ridimensionamento.

 

In Umbria attualmente sono state definite 5 aree interne (dati aggiornati sul sito del Ministero per le politiche di coesione al 13/10/2023): le 3 già presenti dal 2014 che sono Orvietano (19 comuni), area di Gubbio (10 comuni) Valnerina (14); più 2 nuove che sono la zona del Trasimeno (8 comuni) e la Media valle del Tevere intorno Todi (8 comuni). È rimasta esclusa l’Unione dei comuni di cui fa parte anche Gualdo Cattaneo perché nell’insieme erano presenti troppi enti molto vicini a Foligno che costituisce uno dei 5 Poli umbri. Circostanza che pone 3 comuni in particolare: Gualdo Cattaneo, Giano dell’Umbria e Massa Martana nella condizione di rimanere al di fuori di una strategia regionale. Il caso di Gualdo poi è davvero un caso limite, perché sebbene solo il capoluogo possa dirsi che rientri nel minutaggio necessario ad essere qualificati come comune Cintura. E ci rientra solo di 1 minuto e se consideriamo di andare a Foligno passando per Gaglioli (fonte Google Maps), non esattamente la più accessibile delle strade come dimostra il fatto che le tratte del trasporto pubblico regionale non la percorrono – ulteriore elemento che spinge a chiedersi come sia possibile per un territorio come il nostro, che per oltre il 90% della superficie rientra ampiamente nei parametri di un’area interna, essere considerato come Bevagna o Trevi che con Foligno ci confinano. È chiaro qui che il rischio è quello di rimanere prigionieri di un limbo normativo per cui non si può avere accesso ai fondi destinati alle aree interne, e per gli altri ci si trova a competere con realtà più grandi e organizzate della nostra. 

In tali circostanze è senz’altro necessario un lavoro incessante di pressione politica e di mediazione con le istituzioni regionali per evitare che il limbo nel quale ci hanno relegato continui ad aggravare le tante criticità. E in effetti la fase di campagna elettorale alla quale stiamo andando incontro sembra un ottimo momento per farlo. Ci sarà già una strategia?

Andrea Cimarelli

Andrea Cimarelli

Andrea Cimarelli è laureato in Filosofia all'Università degli Studi di Macerata. Coltiva, la terra per mestiere, l'amicizia per passione, se stesso per vocazione. Già redattore della rivista Ritiri Filosofici, osserva il mondo per comprenderlo e difenderlo. Collabora attivamente con l'hub Territorio e Ambiente della Rete di Civici Per l'Umbria. Favorevole a vaccini, matrimoni gay e 5g.

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