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Lo scorso 10 luglio, la Camera di Commercio di Perugia ha diffuso un comunicato stampa attraverso il quale rendeva pubblica la graduatoria di tutti i comuni umbri per numero di imprese giovanili ogni 100 abitanti. Al di là di ogni più rosea aspettativa, Gualdo Cattaneo, con le sue 5,8 aziende rette da giovani tra i 18-35 anni ogni 100 abitanti, si piazzava al primo posto della classifica dedicati ai comuni tra 5 e 10 mila abitanti bissando il primo posto già conseguito a maggio agli Oscar dell’Imprenditorialità – l’equivalente della categoria senior.
Notizie sorprendenti celebrate anche sulla pagina Facebook del sindaco che non risparmia lodi all’istinto imprenditoriale dei nostri concittadini, soprattutto dei più giovani definendolo «un fattore di enorme rilevanza che va incentivato e alimentato in tutti i modi i modi possibili, poiché funzionale alla crescita economica e sociale della nostra comunità». Tutto più che condivisibile, ma allora, se davvero simili risultati stanno a testimoniare dinamismo e crescita, come mai a tale dato si affianca anche quello di comune con il reddito medio tra i più bassi? La questione merita senz’altro di essere approfondita.

Come sottolinea con chiarezza Alessandro Placidi nel suo interessante ultimo articolo (qui), un primo elemento da approfondire per capire a pieno il vero messaggio che si cela dietro questo incrocio di dati è la qualità delle attività imprenditoriale, sia giovani che non, del nostro territorio. «L’imprenditoria italiana frantumata e in sofferenza nel processo globale di concentrazione dei capitali, si è specializzata in settori con scarsa redditività e specializzazione poiché, grazie ai bassi salari e alla poca necessità d’investimenti, i profitti sono garantiti ugualmente» . Infatti non sempre un’impresa, anche affermata e di successo, riesce a riversare sul contesto sociale circostante i frutti del benessere che dovrebbe portare il lavoro da essa prodotta; e non sempre il profitto spuntato dall’imprenditore per sé è sintomo di condizioni buone per i suoi dipendenti.
A ribadire che l’assunto “ più imprese = più crescita economica” potrebbe non essere così scontato come sembra a prima vista, si aggiungono anche i dati su base regionale riportati dal medesimo comunicato stampa. Per l’Umbria infatti, il risultato di quinta regione d’Italia per densità imprenditoriale rispetto agli abitanti, fa da contraltare un pil pro capite costantemente al di sotto della media nazionale e un impatto tutt’altro che decisivo sul Pil nazionale.

Un altro elemento di riflessione introdotto dallo stesso presidente della Camera di Commercio di Perugia, Giorgio Mencaroni, è la possibilità che a spingere lungo il percorso dell’autoimprenditorialità sia anche l’impossibilità di contare su opzioni lavorative gratificanti o adeguate alle prospettive individuali. Lo stesso precisa che nel caso dell’Umbria l’eventualità non sembra prevalente – a differenza delle regioni del Mezzogiorno – eppure, il rischio del vivere in un territorio che offre poche opportunità è anche questo, il pensare di doversela per forza cavare da soli. Soprattutto per via dell’età media della popolazione e, di conseguenza, della natura di servizi e imprese che su un tale contesto sociale si strutturano. Anche perché, altri dati della camera di commercio evidenziano come, rispetto al 2019 la nostra regione abbia perso oltre 700 imprese giovanili (-10%), mentre la variazione 2022/2021 è pari a – 249 (-3,5%).

Oltre questo poi, c’è da considerare, nel caso dei giovani imprenditori, quali sono le modalità di conteggio. Il modello infatti, fa rientrare nella categoria tutte le imprese individuali di under 35, tutte le società di persone con oltre il 50% dei soci under 35 e nel caso delle società di capitali che l’età media di soci e amministratori sia inferiore ai 35 anni. Senza ulteriori dettagli a specificare in maniera più approfondita i vari settori in cui si articolano queste imprese, diventa difficile anche solo distinguere realtà nuove da semplici subentri alla conduzione di figli e nipoti. Eventualità che ad esempio in ambito agricolo viene incentivata con dei premi economici e linee di finanziamento dedicate dai piani di sviluppo europei.

Sono diverse dunque le considerazioni che potrebbero portarci a guardare questo dato sotto una luce diversa. Meno ottimistica e più consapevole. Spesso infatti i dati possono ingannare se non inseriti all’interno di un quadro di valutazione più ampio, più radicato nello spirito del luogo. Che per il comune di Gualdo Cattaneo è senz’altro contraddistinto da un elemento ricorrente: la divisione. Frazioni divise che si raggruppano in proloco divise, dedite a coltivare attività sociali divise, all’interno di comunità che spesso trovano elemento di orgoglio nella reciproca rivalità – fino a una ventina di anni fa contavamo addirittura 5 squadre di calcio; per dire. Ecco, in un contesto come questo, l’unione del dato sull’alta imprenditorialità e il basso livello di ricchezza, potrebbe delineare un quadro a tinte opposte rispetto a quelle colte all’inizio. Un quadro in cui la progressiva disgregazione del tessuto economico a seguito della perdita di popolazione e una scarsa predisposizione alla collaborazione – si pensi al naufragio dell’ambizioso progetto Castelli di gusto – spingono le persone a cercare per via individuale la strada del sostentamento. Anziché cercare di far convergere diversi istinti imprenditoriali verso percorsi condivisi per creare sinergie, si procede in maniera isolata. Finendo spesso per disperdere energie preziose.

Leggere i dati economici in maniera chiara non è mai semplice, soprattutto per chi non li lavora quotidianamente. Quello che è certo è che Gualdo Cattaneo oggi meno che mai può permettersi di credere che sia oro tutto quello che luccica. Costruire una comunità più forte e coesa è un obiettivo non più rimandabile, perché al di là dei numeri, sono le persone a tenere vivo un luogo, anche con il lavoro. Meglio se condiviso. E ben venga allora perdere qualche posizione nella corsa a oscar e premi vari, che di certo sono ottimi per un bel post, ma se non servono a progettare un futuro migliore rischiano di essere dannosi più che inutili.

Andrea Cimarelli

Andrea Cimarelli

Andrea Cimarelli è laureato in Filosofia all'Università degli Studi di Macerata. Coltiva, la terra per mestiere, l'amicizia per passione, se stesso per vocazione. Già redattore della rivista Ritiri Filosofici, osserva il mondo per comprenderlo e difenderlo. Collabora attivamente con l'hub Territorio e Ambiente della Rete di Civici Per l'Umbria. Favorevole a vaccini, matrimoni gay e 5g.

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