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A cura di Alessandra Fasulo Di Giacomo

Sono trascorse poche settimane dal fatidico giorno delle elezioni politiche, elezioni che hanno visto la coalizione di centrodestra, trainata dal partito di Giorgia Meloni, spopolare arrivando a conquistare il 44% di voti validi al Senato e il 43.8% alla Camera dei deputati.

Ma queste percentuali, nel concreto, come vanno ad occupare i seggi del Parlamento? Il lavoro è svolto dal sistema elettorale, ossia quel meccanismo attraverso il quale i voti espressi da noi elettori si trasformano in seggi. Il sistema è generalmente composto da tre parti: il tipo di scelta fatta dall’elettore (secca o secondo ordine di preferenze), la dimensione del collegio e le formule elettorali, cioè il meccanismo che matematicamente rende possibile, sulla base dei voti espressi, la ripartizione dei seggi.

La mia volontà non è quella di soffermarmi sulle caratteristiche delle parti che compongono un sistema elettorale; trovo più interessante, invece,  analizzare l’evoluzione dei sistemi elettorali che si sono susseguiti in Italia, individuandone le tappe salienti, le capillarità e criticità di ciascuna legge e sottolineando i motivi che li hanno resi inapplicabili e, talvolta, considerati incostituzionali.

Prima di iniziare la scalata, però, non possiamo non citare quella che è la prima fonte per ciascun giurista, il punto di partenza: la Costituzione.

Il nostro testo costituente, all’interno della Parte II, Titolo I, Sezione I contiene le disposizioni in materia di formazione di Camera e Senato: qui si limita a stabilire che le due Camere (dei Deputati e del Senato) sono elette a suffragio universale e diretto e che le elezioni per il Senato si svolgono su base regionale, rimandando quindi alla legiferazione ordinaria la scelta del sistema di elezione.

Tra le svariate leggi elettorali prodotte dal Parlamento, quella attualmente in uso è la legge n° 165 del 26 ottobre 2017 che introduce l’ottavo modello elettorale adottato nella storia della Repubblica Italiana.

Sino al 1993, le Camere erano elette con un sistema proporzionale, messo in un secondo momento sotto accusa perché ritenuto causa primaria delle disfunzioni del sistema italiano in quanto alimentatore della frammentazione ed ostacolante la governabilità. In realtà questo sistema è stato un componente importante del parlamentarismo compromissorio che per molti anni ha caratterizzato la democrazia italiana.

Il motivo per cui infatti fu fortemente voluto dall’Assemblea Costituente risulta chiaro alla luce del fatto che le caratteristiche che da li in avanti avrebbero delineato il sistema politico e la democrazia italiana sarebbero state: una società attraversata da profonde fratture e un sistema politico fortemente polarizzato dal punto di vista ideologico. Tutto ciò all’epoca pose in primo piano l’esigenza di garantire la sopravvivenza di forze politiche ed ideologiche molto distanti, la legge proporzionale avrebbe garantito proprio la sopravvivenza di tutte le forze politiche e avrebbe evitato la concentrazione di troppo potere nelle forze maggioritarie, tutto questo incentivando invece alla mediazione e alla ricerca di un accordo.

Le successive trasformazioni della società, il superamento delle iniziali contrapposizioni ideologiche, la crisi dei partiti e la crescente difficoltà di funzionamento del parlamento hanno prodotto una spinta verso una democrazia maggioritaria. Questa spinta raggiunse l’apice con la stagione referendaria del 1993, quesiti che chiedevano ai cittadini di esprimersi tra l’altro sull’abolizione del sistema di finanziamento pubblico ai partiti e sull’abrogazione di parti della legge elettorale per il Senato con il fine di introdurre i sistema maggioritario. Furono i referendum con la più alta percentuale di si nella storia italiana ma nonostante questo, la riforma elettorale incontrò grosse difficoltà in parlamento a causa dei continui dissidi tra partiti e perciò non venne mai approvata.

L’importante risultato portato a casa dal referendum non poteva essere dimenticato e perciò venne “fotografato”  con due leggi, le quali prevedevano sia per l’elezione della Camera dei deputati che del Senato un sistema misto, prevalentemente maggioritario (75% dei seggi in collegi uninominali) a turno unico, mentre il restante 25% con metodo proporzionale. Tuttavia nel 2005 il sistema elettorale maggioritario è stato abbandonato e al suo posto subentrò la legge elettorale proporzionale n°270/2005, meglio conosciuta come “Porcellum” (fu ribattezzata cosi nel dibattito giornalistico).

Prevedeva liste bloccate (l’elettore vota per una delle liste in competizione ma non può esprimere alcuna preferenza per i candidati), preventiva indicazione del capo della coalizione, clausola di sbarramento e premio di maggioranza, diretto a garantire che comunque la coalizione o la lista più votata avesse la maggioranza. Questa legge elettorale però nel corso delle sue applicazioni ha sollevato non poche questioni riguardanti la sua effettiva legittimità costituzionale in alcune sue parti. Queste critiche di incostituzionalità alzate dalla Corte di Cassazione sono state accolte dalla Corte costituzionale che con la sentenza 1/2014 ha dichiarato illegittimo: l’eccessivo premio di maggioranza assegnato per l’elezione della Camera dei deputati alla coalizione o singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi e l’eccessivo premio per l’elezione del Senato in ciascuna circoscrizione regionale alla coalizione o singola lista che ha ottenuto più voti, la mancata previsione del voto di preferenza . Per le prima due ci fu una dichiarazione secca di incostituzionalità. Questa sentenza viene spesso definita “storica” sia sotto un punto di vista procedurale ma soprattutto sotto quello sostanziale, perché da questa sentenza della Corte scaturirà un nuovo sistema elettorale che nel lessico giornalistico venne poi soprannominato “Consultellum”. Sotto quest’ultimo punto la Corte ha ribadito la sua precedente giurisprudenza secondo cui il principio di eguaglianza del voto non comporta che gli stessi debbano avere lo stesso “peso” in ordine alla ripartizione dei seggi perciò non sarebbe costituzionalmente obbligatorio un sistema proporzionale, ma il legislatore gode di un ampia discrezionalità nella scelta del sistema elettorale, dovendo bilanciare tra due esigenze, entrambe di rilievo costituzionale: l’esigenza della rappresentatività che spinge verso un sistema proporzionale che fotografa la realtà politica del Paese e l’esigenza della governabilità che spinge verso un sistema selettivo che assicura la formazione di una maggioranza stabile e quindi di un governo.

Per quanto riguarda la mancanza di voto di preferenza, la legge altera secondo la corte “ il rapporto di rappresentanza fra elettori e eletti” con conseguente violazione del principio democratico e del diritto di voto. Il sistema elettorale che risulta dopo la decisione della Corte è quindi un sistema proporzionale con voto di preferenza.

Ma nel 2015, poco tempo dopo, è stata approvata una nuova legge, “l’Italicum” o come è meglio precisare, la legge 52/2015 che prevedeva invece, un sistema proporzionale con premio di maggioranza, clausola di sbarramento e voto di preferenza.

Si può subito notare come lo strumento del premio di maggioranza viene nuovamente ristabilito ma questa volta con entità nettamente minore, infatti non era più attribuito alla coalizione più votata ma alla lista che otteneva su base nazionale almeno il 40% dei voti validi. Si trattava di un cambiamento con rilevanti conseguenze sugli assetti politici e sulla forma di governo, infatti il premio nella precedente versione favoriva l’aggregazione di più forze politicamente eterogenee e ciò comportava la sopravvivenza dei partiti minori perché indispensabili per far vincere la coalizione e una certa difficoltà dell’azione di governo data dalle differenze tra i partiti riaffiorate dopo le elezioni. Con l’Italicum il premio andava alla singola lista e non vi erano quindi incentivi a formare coalizioni elettorali, l’obiettivo di questa legge risulta quindi chiaro, si trattava di favorire un sistema bipolare con pochi grandi partiti (per raggiungere questo scopo erano anche previsti collegi di dimensioni minori, visto che se i collegi erano pochi i partiti più grandi avevano possibilità maggiori di prenderli). Anche l’Italicum è stato oggetto di sentenza della Corte costituzionale che applicando i medesimi principi già formulati nella precedente sentenza ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alla previsione di un premio di maggioranza al primo turno, ha accolto le questioni relative al turno di ballottaggio dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedevano e infine ha accolto la questione relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione facendo sopravvivere il criterio residuale del sorteggio.

A seguito della sentenza, per l’elezione della Camera dei deputati risultava le legge 52/2015 ma con le modifiche apportate dalla corte: era rimasto quindi l’Italicum senza ballottaggio con un premio di maggioranza attribuito solo nell’eventualità che una lista ottenesse a livello nazionale il 40 % dei voti validi. Se quest’ultima eventualità non si fosse presentata avrebbe operato un sistema proporzionale con ripartizione dei seggi a livello nazionale e con clausole di sbarramento al 3%. Per di più l’Italicum si riferiva solo alla Camera nella previsione dell’abolizione mediante riforma costituzionale dell’elezione diretta del Senato, poiché il referendum ha bocciato questa proposta e l’elezione del Senato rimase diretta si dovette applicare il sistema già citato in precedenza nella sentenza 1/2014 della Corte.

Si arriva “finalmente” al 2017, anno in cui a ridosso delle elezioni politiche della primavera 2018 è stata approvata l’ennesima e ultima legge elettorale la numero 165/2017, cosiddetta Rosatellum. Questa legge è basata su un sistema misto di ripartizione dei seggi tra le coalizioni o le singole liste che abbiano superato le soglie di sbarramento stabilite, il 37% dei seggi sono assegnati con sistema maggioritario a turno unico in collegi  uninominali, il 61% dei seggi sono assegnati con metodo proporzionale in collegi plurinominali piuttosto piccoli, il restante 2% dei seggi è riservato al voto degli italiani residenti all’estero.

La ripartizione proporzionale dei seggi, inoltre, per la Camera è fatta a livello nazionale utilizzando la formula del quoziente e dei più alti resti, per il Senato la ripartizione proporzionale è operata a livello regionale. L’elettore esprime un unico voto e quindi non c’è la possibilità del “voto disgiunto”, l’unico voto pertanto vale per la lista proporzionale del collegio plurinominale e per il candidato nel collegio uninominale, non c’è neppure la possibilità di un voto di preferenza nei collegi plurinominali, per cui l’ordine da seguire nella ripartizione dei seggi è quella che risulta dalla lista decisa dai partiti.

Sia alla Camera che al Senato, a pena dell’inammissibilità, nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali i candidati devono essere collocati secondo un ordine alternato di genere, inoltre nel complesso delle candidature presentate da ogni lista o coalizione di liste nei collegi uninominali a livello nazionale, nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60%, nel complesso delle liste nei collegi plurinominali presentate da ciascun lista a livello nazionale, nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60% nella posizione di capolista.

Ogni lista deve presentare un proprio programma e indicare un proprio capo politico e eventualmente l’apparentamento con altre liste con il fine di creare una coalizione. L’esistenza di una coalizione che deve essere unica a livello nazionale, vincola le liste coalizzate a presentare un solo candidato. Non è previsto un premio di maggioranza, quindi sotto questo punto di vista i partiti non hanno incentivi a coalizzarsi.

Il riparto proporzionale si basa sulla volontà dell’elettore che può essere espressa in modo esplicito, attraverso un segno posto all’interno del riquadro proporzionale o viene ricavata in modo implicito, in quanto collegata alla sola dichiarazione di voto per il candidato nel collegio uninominale che si estende alla lista o alla coalizione di liste che lo sostiene.

Sono previste soglie di sbarramento, ossia percentuali di voti al di sotto delle quali la lista non viene ammessa alla ripartizione dei seggi nei collegi plurinominali, in modo da ridurre la frammentazione politica che, di regola, accompagna l’operare di un sistema proporzionale (questo è l’unico reale correttivo introdotto in relazione alle esigenze di governabilità). La soglia di sbarramento è del 3% per le liste singole e del 10% per le coalizioni sia alla Camera che al Senato. Con riferimento alle liste che sono collegate per formare una coalizione, fermo restando la necessità per ciascuna coalizione di ottenere il 10% in ambito nazionale, ciascuna lista però può ottenere una rappresentanza parlamentare a condizione che superi la soglia del 3% dei voti. La singola lista della coalizione che non supera tale soglia non ottiene alcun seggio ma se supera almeno l’1% dei voti in ambito nazionale, i consensi ottenuti non sono perduti bensì vengono attribuiti alla coalizione e serve perciò ad accrescere i seggi ad essa spettanti.

Questa legge nonostante sia l’ennesima di una lunga serie riserva comunque delle forti criticità riguardanti la rappresentatività di tutti i cittadini in tanti dei suoi tratti, di seguito vi offro alcuni spunti di riflessioni su alcuni contenuti di questa legge.

Il primo e più consistente problema, a mio parere, è che il Rosatellum è una legge che spinge moltissimo alle coalizioni tra partiti e questo a forte discapito della rappresentanza: nei collegi uninominali come abbiamo detto ogni partito o coalizione presenta un unico candidato e vince colui/colei anche con un solo voto in più degli altri.

Avendo il seggio chi prende più voti si favoriscono le coalizioni, anche quelle più improbabili, poiché i partiti sono spinti ad allearsi per candidare chi gode di più consenso e che quindi più facilmente otterrà la maggioranza dei voti. Inoltre non essendo previsto voto disgiunto, votare cioè un partito al proporzionale e al maggioritario una coalizione di cui quel partito non fa parte, ai partiti non conviene correre in solitaria. A conti fatti per un piccolo partito con questa legge elettorale potrebbe rivelarsi molto più complicato ottenere seggi rispetto ad un sistema elettorale proporzionale puro e questo spinge ad entrare in coalizioni, se un piccolo partito non raggiunge l’1% non porterebbe nemmeno alcun vantaggio alla coalizione e questa lo potrebbe tagliare fuori oppure potrebbe accadere che più partiti potrebbero entrare non in coalizione ma con un unico simbolo puntando alla soglia del 3%.

Inoltre bisogna considerare un altro fattore: la legge costituzionale del 19 ottobre 2020, n. 1 intitolata “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari che prevede la riduzione del numero dei parlamentari, da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori, come ha inciso questa riforma sulla nostra legge elettorale? Purtroppo va ad incidere in maniera fortemente negativa.

Nei collegi che rappresentano città molto popolate si finisce per eleggere un solo senatore che deve però rappresentare un numero di persone elevato, in più alcuni collegi uninominali contengono il voto di centinaia di cittadini in più rispetto agli altri, come se il loro voto valesse meno rispetto a questi.

Per di più con una legge come il Rosatellum è impossibile prevedere con assoluta certezza il numero di seggi in relazione al numero di voti: le leggi elettorali a sistema proporzionale rispetto a quelle maggioritarie tendono a rappresentare più precisamente gli equilibri tra le forze politiche, infatti non rischiano di tagliare fuori quelle più piccole ma, per lo stesso motivo,  è più difficile arrivare ad una maggioranza e questo va ad incidere sugli equilibri politici e il margine d’azione dei governi e ciò rappresenta un grossissimo problema. Per di più anche l’assegnazione dei seggi diventa un problema, infatti nei collegi plurinominali vengono assegnati dal nazionale al territorio.

A livello nazionale vengono designate le liste e a quelle che superano le soglie di sbarramento vengono poi distribuiti i seggi secondo il calcolo dei quozienti e resti, il problema è che nelle diverse circoscrizione, cioè le varie porzioni in cui viene suddiviso il territorio, non tutte grandi uguali potrebbe essere necessario anche qualche aggiustamento per rispecchiare quelli che sono stati i risultati dei partiti a livello nazionale, che vuol dire questo? Ciò comporterebbe che un partito potrebbe vedersi assegnare un tot di seggi nella circoscrizione X per dei voti ottenuti nella circoscrizione Y.

In ultimo, non resta che soffermarsi anche sul discorso della soglia di sbarramento: per avere almeno un seggio bisogna superare la soglia di sbarramento del 3% per il partito , 10% per la coalizione. Ma se il partito ottiene tra il 1% e il 3%? Non perde i voti e non ottiene il seggio ma i voti ottenuti vengono distribuiti tra le liste che fanno parte della coalizione in modo proporzionale. Qui si presenta il problema al senato visto che la distribuzione dei seggi è su base regionale e non nazionale, infatti in questo caso nel concreto le soglie di sbarramento implicite potrebbero alzarsi, ad esempio in Sicilia per cui al senato sono disponibili 10 seggi nella quota proporzionale questo significa che per ottenere un seggio e non rischiare di rimanere escluso al partito X potrebbe non bastare il 3% come invece previsto.

Purtroppo queste tipologie di problemi a primo impatto, soprattutto di un occhio non esperto in materia, potrebbero non sussistere o non sembrare consistenti, alla luce di quello che abbiamo detto invece, scavando a fondo della questione, credo sia diventato chiaro quanto queste rappresentino delle vere e proprie “falle” nel sistema di rappresentanza politica.

Questo sistema avrebbe bisogno di una rivisitazione che lo renda il più efficacie possibile e che lo renda degno di rappresentare al meglio l’intera cittadinanza, cosi come richiede il nostro apparato democratico.

È vero, la rappresentanza si muove in un campo così vasto e complesso di rapporti sociali e politici che mi rendo conto sia davvero difficile tenersi lontano da ogni esagerazione e influenza di partiti o scuole di pensiero. Cosi come ci dice il professore Pietro Chimienti (Università di Cagliari, ex deputato al parlamento)

è necessaria una ricostruzione giuridica della rappresentanza e cioè non sociologica o politica, una ricerca giuridica che non si perda in un vuoto schematismo di formule avulso affatto da ogni contatto con la realtà in cui le istituzioni rappresentative si muovono”.

Redazione

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Il Sadadì è un’esperienza che nasce per far luce sulle ombre che avvolgono le aree marginali di questa Italia piena di sgomento e di racconti a metà. Per aprire finestre sul legame tra le vicende dei grandi palazzi e le loro ripercussioni sulla galassia di piccoli paesi che li circonda. Il blog è aperto e le nostre bio sono in calce, perché chi ha il coraggio di dire, deve avere anche il coraggio di mettere la faccia di fianco alle proprie idee. Tutto è pronto, che il racconto abbia inizio.

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