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PNRR a Gualdo Cattaneo: PRIMA e l’idrogeno

Seconda puntata dell’analisi dei progetti PNRR calibrati su Gualdo Cattaneo. Dopo aver riflettuto sulle implicazioni politiche e imprenditoriali di Smart farming che, ammessa l’effettiva esistenza della componente privata pronta ad investire, rischia di configurarsi come l’ennesima regalia di denaro pubblico alla causa di grandi aziende. Passiamo al più ambizioso dei due disegni, “la creazione in Umbria di un Polo Regionale dell’Idrogeno e della Mobilità Alternativa”, che “potrebbe rappresentare un importante modello da replicare nelle altre regioni d’Italia”. Altrimenti detto: PRIMA. 

 

La storia del sito industriale che dovrebbe accogliere il progetto, l’ormai ex centrale Enel P. Vannucci, è nota a tutti, noi stessi ne abbiamo parlato più volte in passato (ad esempio qui e qui). Come una ferita non del tutto rimarginata, la sua presenza rimane nel quotidiano di tutti a ricordare la forma di una ricchezza che fu ed ora, lentamente sta svanendo. Per questo ancora oggi, al semplice parlare della centrale, tutti alzano l’asticella dell’attenzione, perché infondo sperano che qualcosa sopraggiunga a riproporre quello straordinario miracolo economico che nei primi anni Novanta, occupando oltre 120 persone – per non parlare dell’indotto – ha offerto molto a molte famiglie. Sempre per questo, proprio oggi, è estremamente importante pesare bene le parole quando si accendono i riflettori sul futuro del sito.

È chiaro, non tutti sono stati felici dei costi ambientali che la presenza di questo impianto ha imposto al nostro territorio, come dimostra la costante attività di supervisione portata avanti dal “Comitato per l’ambiente di Gualdo Cattaneo”. Persone che hanno visto con grande favore la definitiva chiusura dell’impianto, ma che ora temono per gli scenari che potrebbero delinearsi nel guardare al domani. Da qualunque prospettiva si voglia approcciare la questione, un dato è senz’altro fondamentale quando si parla del futuro della centrale: l’importanza di una demolizione celere e ben fatta. Su questo frangente, Enel ha svolto una preziosa funzione di garante del territorio decidendo di occuparsi direttamente della cosa. Dopo il fallimento di Futur-e, il bando tramite cui si sperava di vendere l’intero sito – centrale compresa – a investitori che nel realizzare nuovi piani d’investimento avrebbero preso in carico anche gli oneri di demolizione, la multinazionale dell’energia ha ritenuto opportuno scongiurare il rischio di lasciare un ecomostro nel cuore dell’Umbria impegnandosi in prima persona per la sua rimozione. È dello scorso 31 luglio infatti, la notizia che sono partite le procedure di gara da concludersi entro il 2021 e che porteranno già nel 2022 l’inizio dei lavori di smantellamento.

 

Questo dunque il sostrato sul quale si vanno a disegnare le fondamenta di PRIMA. Scendendo nei particolari, la proposta è quella di una “riconversione e riqualificazione del sito della Ex Centrale ENEL a carbone di Gualdo Cattaneo per la produzione di idrogeno verde”. Il colore verde non è scelto a casa, ma sta ad indicare l’idrogeno ottenuto tramite l’idrolisi, cioè la scissione della molecola dell’acqua in ossigeno e idrogeno gassoso grazie al passaggio di corrente elettrica. Questo per distinguerlo da quello ottenuto attraverso diverse procedure, come il grigio che si ottiene dalla scomposizione del metano, o quello marrone che viene dal carbone. Dunque, attraverso la messa in opera di un elettrolizzatore della potenza di 20 MW, supportato da un parco fotovoltaico di 9 ettari – della potenza di 6 MW secondo le più che ottimistiche stime di produzione – l’intento è quello di dare l’avvio alla transizione verso sistemi alimentati a idrogeno in tutta la regione Umbria. Gli step del percorso prevedono: l’immissione diretta di una parte nella rete gas ad alta pressione, il metano può essere diluito con l’idrogeno fino al 15% senza portare problemi agli impianti che lo bruciano; come le caldaie domestiche. Lo stoccaggio in carri bombolai per trasportarlo e “rifornire due distributori di idrogeno, da ubicare in posizioni strategiche, nella regione” così da alimentare una flotta di 12 autobus (2 a Perugia e 10 a Terni) e fornire punti di rifornimento anche per mezzi privati. Parallelamente a questo, si parla anche di una flotta di 4 minibus da mettere al servizio del territorio comunale di Gualdo Cattaneo, che beneficerà anche di un 20% di sconto sull’acquisto dell’energia elettrica prodotta in eccesso dall’impianto fotovoltaico, in linea con la normativa sulle comunità energetiche. L’intero sistema potrà beneficiare del supporto di un sistema di accumulo elettrochimico da 30 MWh.

A margine dell’attività produttiva, è prevista anche la realizzazione di “laboratori dedicati esclusivamente alla ricerca (H2 Lab) che potranno dare un importante contributo anche a livello nazionale alla ricerca sulla filiera dell’idrogeno”. A completamento del polo è previsto anche un ulteriore edificio “adibito a servizi, spazi ricreativi e mensa per 100 persone”. Il tutto per un investimento complessivo di 75 milioni di € che però, sarà in grado di creare circa 300 posti di lavoro; 92 direttamente nell’impianto e 208 nell’indotto.

 

Il progetto, come si vede, è estremamente ambizioso e merita grande attenzione; è inutile negare gli importanti benefici che potrebbe portare a tutto il territorio. Tuttavia, come sempre accade, il valore delle idee non è determinato solo dalla bontà della proposta, ma soprattutto dalla sua conciliabilità con la realtà, cioè dalla realizzabilità e sostenibilità economica, ed è proprio in questa fase che emergono diverse perplessità. 

La prima riguarda la visione d’insieme: siamo sicuri che questo progetto sia in linea con quanto indicato nella Mission 2 del Next Generation Italia? Se andiamo a vedere il testo varato dal governo infatti, ci sono almeno 2 passaggi problematici: il dimensionamento di questi impianti che devono sorgere per recuperare vecchi siti esistenti oscilla fra 1 e 5 MW – quindi al massimo ¼ di quanto previsto dalla regione – e soprattutto, quando si parla di una rete di 40 stazioni di rifornimento per abbattere le emissioni del trasporto su gomma a lunga percorrenza, si ipotizzano corridoi ad altissima densità di traffico come il Brennero o la Torino-Venezia – non esattamente il traffico delle aree urbane della verde Umbria. Questo, a sottolineare l’approccio ancora del tutto sperimentale che viene attribuito agli impianti di produzione dell’idrogeno, per altro ancora estremamente costosi: per gli idrolizzatori si parla di stime intorno ai 1000€ per KW di potenza, per un prodotto il cui prezzo oscilla fra 3 e 7,5 €/kg all’uscita dall’impianto, in funzione dei costi di produzione dell’energia elettrica necessaria all’idrolisi. 

Veniamo così ad un altro elemento tutt’altro che chiaro: la fonte di approvvigionamento di energia elettrica rinnovabile e prodotta in loco – condizioni queste ultime indispensabili per rientrare nei finanziamenti del PNRR (si veda M2C2.3) – per alimentare l’intera produzione. Innanzitutto emerge un evidente difetto di stima circa il potenziale produttivo del parco fotovoltaico poiché ad oggi, con un coefficiente di occupazione delle superfici spinto al 45% onde evitare ombreggiamenti fra i pannelli, si considera poco più di 1 MW per ettaro di copertura; perciò è impensabile produrre 6 MW su 9 ettari. Inoltre, anche ammesso che ci si riuscisse, appare altrettanto evidente che neppure a pieno regime questi sarebbero sufficienti ad alimentare un impianto da 20 MW. È vero, c’è sempre l’impianto di accumulo, il quale però sarebbe in ogni caso al servizio delle esigenze della rete, senza dimenticare che se i pannelli, che funzionano solo di giorno, non bastano nemmeno a far funzionare l’impianto, risulta estremamente difficile immaginare come possano produrre un surplus di energia in grado di ricaricare la batteria e contemporaneamente distribuire energia ad una comunità energetica. Altro punto estremamente critico: stante l’assoluta antieconomicità dell’usare l’idrogeno, prodotto con consumo di energia elettrica, per produrre di nuovo altra energia elettrica, – concetto ribadito da tutti gli esperti intervenuti al convegno organizzato dal Sole24Ore sull’argomento lo scorso 30 marzo – come si potrebbe alimentare una costituenda comunità energetica? Non sarà forse che si pensa di instaurare un rapporto inverso, cioè che siano i tetti di privati e aziende a conferire energia all’impianto? O peggio ancora si potrebbe considerare un’estensione del parco fotovoltaico nei campi limitrofi. Il tutto senza dimenticare che ad oggi, il tetto massimo di produzione per le comunità energetiche è fissato a 200 KW e che tra i membri non può figurare un soggetto produttore “per mestiere”(si veda in proposito il testo del 2019 del CEP – Clean Energy Package varato dall’UE). 

Se passiamo ad analizzare la questione trasporti, purtroppo lo scenario non cambia. In un’intervista del 19 maggio per Enel, lo scienziato del CNR Nicola Armaioli mette in chiaro subito che «L’uso più intelligente che possiamo fare dell’idrogeno è dove non sono disponibili alternative migliori. Per esempio, non avrebbe molto senso utilizzarlo nelle celle a combustibile per le automobili e nel trasporto leggero, perché i motori elettrici a batteria si dimostrano già altamente efficienti e non esiste una rete capillare di distribuzione dell’idrogeno. Ma per il trasporto pesante, per esempio per camion a lunga percorrenza, aerei o navi, l’idrogeno usato nelle celle a combustibile sarebbe l’ideale, perché per i veicoli di grandi dimensioni la ricarica elettrica è molto complicata, se non improponibile». Inoltre, quando si parla di stoccaggio nei carri bombolai, si pensa ad un ciclo continui di camion che si riempiono e partono oppure è prevista una fase di stoccaggio intermedia? Perché in tal caso si dovrebbe fare i conti con le ingenti difficoltà di gestione dell’idrogeno. 

 

Senza addentrarci ulteriormente nella questione dell’effettiva disponibilità del quantitativo di acqua per mantenere sempre operativo l’impianto, della costanza di approvvigionamento energetico, dell’individuazione del fornitore di camion in grado di svolgere il servizio di trasporto, appare evidente che, di fianco agli entusiastici proclami, vanno messe quantomeno altrettante difficoltà da superare. Il che non sarebbe nemmeno il più grande dei problemi di per sé, la storia dello sviluppo tecnologico è fatta proprio di questa capacità di trovare soluzioni vincenti a problemi via via sempre più complessi. Il vero problema, è che ancora una volta, la politica locale vende la pelle dell’orso prima ancora di averlo trovato. Come si diceva nell’incipit, a Gualdo non servono promesse luccicanti, e probabilmente non servono nemmeno imprenditori-salvatori, serve progettare il futuro, ma pensando a chi il territorio lo abita, non alla ricerca di consenso.