A CURA DI RAMONA SANTINI, Ricercatrice presso il Karolinska Institutet di Stoccolma
“Come mai sempre più persone sentono il bisogno di lasciare l’Italia per poter lavorare in
ambito scientifico?” Credo che chiunque, sfogliando i giornali o guardando la televisione, abbia
sentito parlare di questo argomento conosciuto anche con l’appellativo di “fuga di cervelli”.
Questo fenomeno interessa moltissime persone di diverse fasce di età, le quali hanno deciso di
lasciare il proprio paese natale per iniziare, o proseguire la propria carriera lavorativa in una
struttura di ricerca estera. I motivi di questo fenomeno, al contrario di come si possa pensare,
non sono soltanto relativi alle problematiche proprie del paese di origine, tanto è vero che
lavorare all’estero stabilmente o temporaneamente, può essere considerata sia una necessità
che una strategia che viene sfruttata dai ricercatori di quasi tutti gli stati Europei e non.
Trasferirsi in un paese estero dopo il conseguimento del diploma di Laurea infatti, consente di
mettere in pratica in un contesto internazionale, tutte le conoscenze e competenze apprese
durante il percorso universitario, permettendo di creare una rete di contatti internazionali utili
per possibili collaborazioni future e consentendo inoltre di incrementare la propria conoscenza
della lingua inglese. Un altro motivo che ne denota l’importanza è relativo al fatto che sempre
più imprese cercano candidati in grado di sapersi relazionare efficacemente in contesti
multiculturali. Vivere e lavorare all’estero infatti aiuta ad acquisire maggiori abilità di
adattamento in situazioni alle quali non si è abituati se si rimane nel proprio paese. In questo
modo si favorisce lo sviluppo di una maggiore elasticità e comprensività nei confronti di
persone provenienti da contesti differenti e che quindi offrono punti di vista alternativi. Il
bagaglio di saperi offerto da questa esperienza andrà a beneficio quindi sia del ricercatore che
emigra sia del paese di origine, il quale ne guadagnerà un professionista arricchito dal punto di
vista professionale e personale pronto ad offrire nuovi spunti ed idee innovative che possono
favorire il progresso del paese stesso.
Il problema però è che spesso, se prendiamo in considerazione i ricercatori che vogliono
rientrare in Italia, si parte per strategia, ma si rimane all’estero per necessità. Questo succede
perchè il proprio stato non offre le opportunità necessarie per il rientro, ovvero non offre la
possibilità di poter continuare la propria carriera con le stesse possibilità e garanzie che sono
state offerte nella struttura ospite. Prendendo come esempio la Svezia, paese dove mi sono
temporaneamente trasferita per lavorare come ricercatrice associata al Karolinska Institutet,
uno dei motivi per cui è molto piú facile lavorare in ambito scientifico rispetto all’Italia è
relativo al fatto che vengono stanziati molti soldi da parte dello stato al fine di finanziare le
istituzioni e i progetti di ricerca; di conseguenza sono disponibili maggiori opportunità
lavorative, dignitosamente retribuite e che permettono l’avanzamento della propria carriera.
Anche per questo, nella maggior parte dei casi, i ricercatori svedesi che svolgono attività di
ricerca in paesi esteri sono più propensi e facilitati al rientro in patria (ovviamente quando
desiderato).
Questo fattore deve farci riflettere su quanto sia importante stanziare più soldi per finanziare la
ricerca scientifica, perchè è anche grazie allo sviluppo di questa, in tutti i suoi ambiti e
sfaccettature, che si favorisce il progresso dello stato. È chiaro quindi che la ricerca italiana ha
bisogno di una spinta che arrivi dal sistema stesso più che dalle istituzioni e dai ricercatori.
Tenendo in considerazione che ogni stato ha le proprie problematiche e i propri punti di forza,
quando si trattano materie così importanti è bene osservare ciò che accade al di fuori dei propri
confini per prendere spunto ed avere lo stimolo di migliorare e di crescere come società
perchè, come disse Voltaire, “È ben difficile, in geografia come in morale, capire il mondo senza
uscire di casa propria”