È ormai un dato di fatto che l’economia occidentale non è più ecologica (se lo è mai stata) né sostenibile, le risorse energetiche non rinnovabili stanno effettivamente esaurendo così come l’ecosistema del Pianeta.
Alessandro Riva, nel suo saggio “Un miliardo di migranti climatici?” in Geodemografia 2022 pubblicato da Neodemos, raccoglie una serie di studi, ricerche e statistiche sull’argomento prospettando che “entro il 2050 centinaia di milioni di persone si troveranno a vivere in aree afflitte da molteplici rischi ecologici con la apparente inevitabile conseguenza di un aumento del numero di migranti internazionali che potrebbero arrivare alla cifra di 1-1,2 miliardi di persone”. Probabilmente sarà difficile che si arrivi in meno di trent’anni a queste cifre ma sicuramente faremo i conti con un assetto socio-economico in stravolgimento.
La lungimirante e nordica Svezia ha pensato bene di tamponare la situazione e di agire d’anticipo: è degli anni ’80 infatti il suo progetto a lungo termine di sostenibilità che l’ha resa territorio all’avanguardia sull’argomento. La necessità si è creata a seguito di una profonda crisi industriale che colpì all’epoca la nazione.
C’è un luogo che è diventato il simbolo dell’ecosostenibilità svedese ed è il quartiere Hammarby Sjöstad a sud di Stoccolma. Zona degradata negli anni ’90, sia dal punto di vista sociale che ambientale, in due decenni si è trasformata in un modello internazionale dove vivono circa 25 mila persone e sono presenti anche spazi produttivi. L’obiettivo è quello di rendere sempre più ecologica la città e rendere la sostenibilità accessibile a tutti.
È possibile allora sfruttare un momento di difficoltà è trasformarlo in un’opportunità.