Lo scorso 15 giugno, la Giunta Regionale dell’Umbria, con la deliberazione 611 ha di fatto varato un nuovo piano per la divisione dell’appalto per la gestione del trasporto pubblico in 4 lotti distinti, anziché uno solo com’è stato fino ad oggi, mettendo in subbuglio l’intero settore. Tanto nel documento, quanto nella nota pubblicata dall’assessore Melasecche in questi giorni, in risposta agli innumerevoli attacchi mossi dai sindacati al documento, viene precisato che è per adeguarsi alle nuove normative europee, nonché a quanto indicato nel nuovo D.L. Concorrenza in approvazione definitiva alla Camera, che si deve procedere in questa direzione. Pena la riproposizione di una multa che già per gli anni 2015 e 2016 sta già privando le casse regionali di oltre 6 milioni di €. D’altro canto, se una delle ragioni portate per il varo di questo piano è l’insostenibilità dei costi del trasporto pubblico per l’ente regionale, se non a patto di un ingente incremento della spesa pubblica, risulta difficile pensare che la gara d’appalto si risolverà con una semplice riproposizione del medesimo servizio, solo che pagato da altri gestori. A differenza delle pubbliche amministrazioni, nessuna stazione appaltante potrebbe contare sulla possibilità di lavorare in perdita e contenere gli ammanchi con altre voci di bilancio. Tuttavia il cambiamento del paradigma sembra ormai iniziato e di certo, soprattutto per le aree marginali come quella di Gualdo Cattaneo, i motivi d’incertezza non mancano.
Per comuni come il nostro, che rientrano in pieno nella platea di quelli che si dovranno dividere il 54,6% delle risorse destinate al trasporto extraurbano, la riduzione delle risorse regionali a supporto del trasporto pubblico, passerebbe dallo 0,09% del bilancio attuale, ad un definitivo ed impietoso 0 %. Poca cosa si potrebbe pensare, ci stiamo muovendo su percentuali esigue. A ben vedere però, con un capitolo di spesa che si muove nell’ordine dei 50.000.000 di €, quello 0,9 potrebbe arrivare a pesare anche 450.000€, una cifra che, per quanto approssimativa, è distante anni luce dal poter essere sostenibile economicamente facendo leva soltanto sulle entrate garantite dalla fruizione del servizio. Va da sé che, checché ne dica l’assessore, resta difficile non immaginare delle contrazioni. Soprattutto perché il punto 5 della Delibera, in cui viene chiaramente riportato che a parere della Giunta, in alcuni frangenti l’offerta del servizio è sovrabbondante rispetto alla reale domanda. Non è affatto irrealistico perciò supporre, che se da qualche parte si stima che ci siano troppe corse, automaticamente, per razionalizzare i costi ne consegue che queste verrano tagliate. Poi magari i lavoratori verranno riallocati altrove, dove, forse, potrebbe anche esserci un potenziamento delle tratte, ma di certo, da qualche parte le tratte diminuiranno. Ed è altrettanto verosimile che, se vengono meno gli stanziamenti regionali per finanziare il servizio, saranno per primi i comuni penalizzati in questa direzione a risentirne. O in termini di disservizi, o in termini di ricadute enonomiche sui cittadini, che se da Gualdo Cattaneo vogliono mandare i propri figli ad un Istituto superiore che sia diverso da quello di Bastardo, saranno costretti ad adeguarsi ai costi imposti dal nuovo gestore della tratta mattutina verso Foligno; la più imprescindibile delle 3 tratte A/R che interessano il capoluogo (2 per Foligno appunto e una per Perugia). Di certo, fra caro carburanti, inflazione alta e rischio d’impresa del nuovo gestore, risulta difficile non aspettarsi un consistente rincaro del servizio.
Al di là dei tanti e inevitabili botta e risposta fra gli attori in campo però, c’è un altro importante tema che si muove sottotraccia e che può essere riassunto in una semplice domanda: che ruolo si vuole dare al trasporto pubblico per la transizione ecologica? Perché, sebbene se ne parli spesso all’interno della prima parte del documento regionale, è difficile credere alla favola che con meno fondi pubblici a disposizione, un servizio potenzialmente decisivo per la riduzione dell’impatto ambientale delle nostre vite, possa magicamente aiutarci a ridurre le nostre emissioni. Senza entrare nel tema, pur cruciale della qualità della flotta regionale, è evidente che se davvero il trasporto pubblico deve costituire una delle chiavi per fronteggiare l’incremento delle emissioni, questo dovrebbe essere sostanzialmente potenziato anziché razionalizzato. E dovrebbe essere incentivata con fondi propri ogni singola adesione in più al trasporto pubblico ordinario, anziché affidare alle esigenze di profitto di una stazione appaltante la discrezionalità sui prezzi. Perché purtroppo senza la guida pubblica, le aziende è solo al profitto che devono rispondere. E anche il progetto PRIMA (ne abbiamo parlato qui) se non viene inserito all’interno di un processo di programmazione coerente, non ha alcun senso se non quello di allocare risorse PNRR per prestigio politico.
Questa capacità di gettare delle basi ponderate per uno sviluppo futuro che sappia recepire davvero le possibili conseguenze del climate change infatti, è il grande assente della campagna elettorale per le politiche del 25 settembre 2022. Manca questa capacità di immaginare un Paese che sa cambiare. Perché tenere i conti in ordine e rilanciare l’economia sono senz’altro dei temi fondamentali, ma se il Green New Deal europeo è stato varato per trovare le risorse necessarie a finanziare progetti che stavano nei cassetti già 50 anni fa, allora, forse stiamo sbagliando più di qualcosa, stiamo svendendo ancora una volta il futuro per placare la pancia del presente. Un po’ come con le baby pensioni degli anni Ottanta; ci sarà chi pagherà. Forse.