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Il pezzo di oggi intende proporsi come una riflessione che suggerisco in concomitanza con le giornate francescane appena trascorse e le vicende e gli accadimenti delle ultime settimane.

Il 4 ottobre la Chiesa commemora il Santo forse più rivoluzionario della sua storia e a cui l’Italia intera, ma soprattutto la nostra Umbria, è legata: San Francesco. Il “poverello” di Assisi, nominato da papa Pio XII nel 1939 patrono d’Italia (insieme a Santa Caterina da Siena), vissuto a cavallo tra il XII e il XIII secolo, è colui che ha sconvolto la Chiesa dell’epoca, e non solo, restaurandola con il suo messaggio di semplicità, carità e dialogo. Questi sono infatti i pilastri della sua vita consacrata a Dio e all’aiuto dei più bisognosi, pilastri che ritornano nei racconti delle sue imprese, azioni e nei miracoli a lui attribuiti secondo i racconti dei biografi. Solenni e toccanti le parole di Dante che, nell’XI canto del Paradiso (vv. 43-54), dedica al santo di Assisi come alter Christus contestualizzato nella descrizione di questa parte dell’Umbria:

Intra Tupino e l’acqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d’alto monte pende,

onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di retro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.

Di questa costa, là dov’ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo tal volta di Gange.

Però chi d’esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Oriente, se proprio dir vuole.

Gran fermento quindi ad Assisi nei giorni precedenti alla festività del santo e quest’anno la ricorrenza coincide anche con i duecento anni dall’inaugurazione della cripta di san Francesco all’interno della Basilica Inferiore, avvenuta nel 1824.

La regione chiamata quest’anno a donare l’olio della lampada che arde davanti alla tomba di San Francesco è la Sicilia che è stata rappresentata da circa 5 mila persone e 200 sindaci. Ad accendere il 4 ottobre la lampada è stato il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, in rappresentanza del popolo italiano. Mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e presidente della Conferenza Episcopale Siciliana, nell’intervista rilasciata per il numero speciale di ottobre della rivista San Francesco, si sofferma su varie questioni che toccano da vicino l’isola e la comunità cattolica, tra cui il problema dell’accoglienza dei tanti migranti che passano per la Sicilia: “Gli immigrati s’incontrano per le strade, mentre i cadaveri arrivano sulle nostre coste e siamo noi a raccoglierli. Il problema ci tocca direttamente e ti devi schierare, devi prendere posizione, non puoi delegare”.

Nella situazione geopolitica attuale e l’espansione, sempre più preoccupante, del conflitto in Medioriente, ci porta inevitabilmente a riflettere sull’impresa compiuta da Francesco nel 1219. In quell’anno infatti, nel corso della V crociata, Francesco si imbarca per raggiungere la Terra Santa. Di quel viaggio si conosce poco. Le fonti, spesso di parte, presentano diverse lacune. L’unica prospettiva ce la offre Tommaso da Celano nella biografia del Santo, secondo il quale è “l’ardore della carità” a muoverlo: “tentò di partire verso i paesi infedeli, per diffondere, con l’effusione del proprio sangue, la fede nella Trinità”. Se l’episodio viene letto tenendo in considerazione il periodo storico e la cultura del tempo, nonché l’epoca, si può considerare un tentativo di apertura e di dialogo che si realizza con la potenza del gesto, delle parole e del messaggio e non con la forza e le armi, come avveniva proprio al tempo con le spedizioni crociate. È così che San Francesco diventa il simbolo del dialogo tra i popoli e le religioni e Assisi il luogo dove avviene questo dialogo quando il 27 ottobre 1986 si svolse l’incontro interreligioso promosso da papa Giovanni Paolo II e a cui aderirono diversi capi religiosi per pregare per la pace.

Di diverso avviso sembrerebbe il Francesco in carica, papa Francesco, che al dialogo tra le istanze della Chiesa e alcuni diritti riconosciuti, preferisce invece rilasciare dichiarazioni infamanti. È quanto è successo nel suo ultimo viaggio in Belgio, avvenuto pochi giorni fa, in cui certe affermazioni rilasciate, due in particolare, hanno provocato sdegno e sbigottimento, anche se in modo circoscritto, purtroppo.

La Chiesa è donna, non è maschio” ma “è brutto quando la donna vuole fare l’uomo” e non bisogna essere ideologici sui ruoli perché “non siamo una multinazionale“. Questa la risposta del Papa all’Universitè Catholique di Louvain in Belgio ad una lettera letta dai giovani studenti, a nome di tutta la comunità accademica, che ha accolto il Papa per i suoi 600 anni.

Nella lettera si sottolineava come “le donne sono invisibili” nella Chiesa quando sono proprio loro a portarne sulle spalle il peso più grande. Il clima di festa, con musica e il teatro dell’ateneo pieno di gente, non ha frenato il disappunto e il dissenso per il discorso di Papa Francesco portando alcune studentesse a organizzare una protesta all’uscita dalla manifestazione.

Quando si stava ormai allontanando dal Paese che lo aveva ospitato, a bordo del volo di ritorno, il papa non si è lasciato sfuggire l’occasione di rilasciare altre affermazioni forti. Ha infatti dichiarato a un giornalista che l’aborto è comparabile a un “omicidio” e che i medici che si prestano alla pratica sono “sicari”. Antefatto. Il papa si era recato nei giorni scorsi nella cripta reale della Chiesa di Nostra Signora di Laeken, alla presenza del re e della regina, per pregare dinanzi alla tomba del sovrano cattolico Baldovino che nel 1992 abdicò per 36 ore per non firmare la legge sulla legalizzazione dell’aborto. Il Papa ha chiesto di guardare al suo esempio in un momento in cui si fanno strada “leggi criminali” e ha annunciato che si procederà alla sua beatificazione. Queste affermazioni hanno scatenato una ferma e comprensibile presa di posizione contraria delle maggiori cariche politiche belghe. “Le osservazioni del Papa sono inaccettabili, in particolare quando ha definito la legge del 1980 sulla depenalizzazione dell’aborto come una legge criminale“. Ha risposto così a un’audizione al Parlamento federale il premier belga Alexander de Croo. Ha poi aggiunto: “Chiedo rispetto per i medici che svolgono il loro lavoro nei limiti del quadro legale” e “per le donne che devono poter decidere liberamente“, ha detto De Croo, e ha aggiunto che il Belgio non ha lezioni da ricevere da nessuno. Ha infine concluso descrivendo l’accaduto come inaccettabile. Il quotidiano cattolico “Avvenire” risponde che le parole del papa sono state fraintese e che la reazione è stata fuori misura (qui). Mentre il Belgio difende il diritto all’aborto, in Italia solo la voce dell’ordine dei medici si alza per difendere un diritto acquisito, e attualmente in Italia anche di difficile se non addirittura impossibile esercizio (i dati del 2021, benché in lieve diminuzione, confermano un’alta percentuale di obiettori pari al 63,4% dei ginecologi, al 40,5% degli anestesisti e 32,8% del personale non medico. Leggi qui), affermando che le dichiarazioni del Papa conferiscono “un marchio di infamia sulla categoria medica oltre a essere al limite dell’ingerenza nella legittimità di una norma di legge del nostro Stato”. Un diritto che, acquisito per legge nella storia recente, “riconosce una libertà di scelta ancora ostacolata da incrostazioni culturali” afferma Aniello Nappi, ex consigliere della Corte di Cassazione. Su questo tema l’ingerenza ideologica della Chiesa provoca ancora silenzio se non addirittura disinteresse da parte della classe dirigente e politica nazionale. A rimetterci, in questo gioco di forze e di indifferenza, sono solo le donne e le cittadine italiane.

Il rispetto, lecitamente preteso, vale però sia nei confronti di quelle che sono le ideologie di una confessione religiosa, che vanno di certo considerate e non osteggiate nei limiti della legalità, sia nei confronti di una legge dello Stato, in vigore, frutto di battaglie sociali di tutela della libertà, legge che però attualmente è anche di difficile attuazione.

Il dialogo è stato lo strumento con cui San Francesco si è avvicinato a ciò che al tempo destava paura (il lupo), a ciò a cui voleva dar voce (la lezione di Gesù), è stato lo strumento di avvicinamento al “nemico”: privo di armi, nella più totale povertà, completamente disarmato, si presentò dinanzi al Sultano. Forse l’esempio di Francesco, rapportato ai nostri giorni, merita ancora una volta di essere osservato. Concretamente.

Sara Trionetti

Sara Trionetti

L’arte e la letteratura mi appassionano da sempre, perciò intraprendo studi classici. L’attaccamento all’Umbria si esprime in ambito accademico con tesi specialistiche legate al territorio, poi in ambito lavorativo, prestando servizio in molti musei della Regione, e infine come guida escursionistica e accompagnatore turistico. Con passione accompagno italiani e stranieri alla scoperta della storia, delle tradizioni, del buon cibo e della natura della mia amata Umbria. I tramonti mi commuovono, il panorama dalle vette delle montagne anche. Le mie giornate sono piene di ore di studio, escursioni con Foresta e sport. Sono cresciuta nel volontariato, attività che ho svolto con impegno e dedizione. Sono una di quelle persone che ha scelto di rimanere perché crede nelle potenzialità di questo territorio.

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