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Giovedì scorso Oscar Iarussi ha scritto un bel pezzo su Avvenire che invito a leggera (Le migrazioni estive del rientro a casa annuncio di una sperata “Tornanza” [1]) cui possiamo ispirarci per ragionare del nostro territorio. L’argomento calza perfettamente con Gualdo Cattaneo: spopolamento e crisi demografica, Feste patronali e le Sagre agostane che rivitalizzano i nostri borghi per pochi giorni i quali “rivivono gli echi delle comunità che d’estate si ricomponevano nella loro interezza, mutilate dall’emigrazione durante il resto dell’anno”.

Il ragionamento dell’autore è lineare e condivisibile: il calo demografico e la riduzione delle nascite, “la fuga dei giovani in cerca di migliori occasioni di lavoro e di studio” può essere arginata se a “La restanza (Vito Teti Einaudi 2019) [2]”, l’ostinata testardaggine di chi ha deciso di rimanere nei luoghi natali delle zone marginali, si affianca un fenomeno chiamato “ La tornanza[2]” e cioè il rientro ai paesi d’origine degli emigrati, storie di gente che ha deciso di fare il passo di ritorno. Questo può avvenire forse solo se si mette in discussione il “fondamentalismo del mercato” e si è disposti ad investire su “quel senso di comunità che nelle aree marginali è più forte che altrove” come ci ricorda il Cardinale Zuppi. Iarussi nell’articolo da modo a chi lo volesse di approfondire l’argomento ricordandoci le previsioni dell’osservatori Svimez che prevede un un’ulteriore perdita di otto milioni di residenti al sud da qui al 2080; invita a leggere il reportage di Sergio del Molino La Spagna Vuota, per non dimenticarci che i problemi locali spesso sono globali; cita lo storico Fernand Braudel ed il Filosofo Franco Cassano per ragionare su come lo spopolamento delle aree interne sia figlio del sistema economico. Naturalmente non poteva mancare Cesare Pavese nel novero delle citazioni del resto “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.

Malgrado l’amore a volte renda ciechi non possiamo far finta di nulla, Gualdo Cattaneo subisce da anni un inesorabile emorragia che non si arresta: calo delle nascite, giovani e meno che si trasferiscono altrove. Le ragioni sono molteplici e note a tutti: servizi ai minimi termini, trasporti pubblici inesistenti e possibilità di lavoro esigue. A ciò aggiungiamo purtroppo che il senso di comunità e la voglia di vivere in maniera collettiva è sempre più flebile. I luoghi di aggregazione tipici dei paesi come i bar, le edicole, i negozi, i barbieri quando e se resistono, da spazi di incontro sono sempre più spesso semplici luoghi di consumo. Il fascino delle feste di paese e delle piazze si affievolisce. Il punto di forza dei piccoli paesi, la comunità, sembra essere svanita, dissolta nella società liquida. Tutto ciò mette in discussione la “restanza”, anche il sottoscritto da sempre testardamente attaccato al paese inizia a dubitare della scelta di vita fatta, e soprattutto la “Tornanza” fenomeno praticamente sconosciuto se si esclude qualche anziano che viene a godersi la pensione o qualche straniero che sverna.

Quella comunità di cui Iarussi parla nell’articolo ancora esiste o siamo diventati la brutta copia di una grande città? Vale ancora la pena provare costruire il proprio futuro a Gualdo Cattaneo? Quali sono gli spazi di aggregazione, condivisione, dialogo, dibattito e discussione di cui abbiamo bisogno per arrestare il declino? Queste domande dovrebbero essere alla base di una presa di coscienza collettiva per tentare di arrestare la decadenza, una presa di coscienza che deve investire la società civile, la politica, l’associazionismo. Tutti siamo coinvolti, da chi abita nella casa più dispersa, il nostro è anche e soprattutto terra di case sparse, a chi si illude di essere immune perché vive in una frazione un po’ più animata. Senza cercare insieme una risposta, senza allargare lo sguardo al di là del campanile della nostra piazza, senza partecipare alla vita sociale e alla ricostruzione del territorio a Pozzo, Gualdo, Grutti, Ponte di Ferro, Collesecco, S.Terenziano, Pomonte, Marcellano, Torri ma anche nella più vivace S.Terenziano non si arresterà un’inesorabile agonia.

Con questo breve articolo invitiamo per l’ennesima volta i nostri lettori a riflettere, siamo nati per tentare di stimolare l’approfondimento e lo studio. Spesso siamo una voce critica e cerchiamo di mettere sotto la lente d’ingrandimento la politica, la cultura, l’associazionismo, la natura e i cambiamenti che più o meno direttamente ci coinvolgono. Non abbiamo la verità in tasca, abbiamo la nostra visione delle cose, le nostre opinioni fondate sempre sull’analisi e sullo studio. Siamo soddisfatti dei risoltati fino ad ora ottenuti ma vogliamo di più. Abbiamo deciso di prenderci un periodo di vacanza per tornare con nuove idee e progetti, Naturalmente chiunque volesse ricominciare da settembre a camminare con noi è ben accetto. Se vi dovessimo mancare non esitate a contattarci.

I GIUDIZI, I COMMENTI E I PENSIERI ESPRESSI IN QUESTO PEZZO SONO OPINIONI PERSONALI E NON SONO IN ALCUN MODO ATTRIBUIBILI ALL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA PER CUI L’AUTORE LAVORA O ALL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA IN GENERALE.

Alessandro Placidi

Alessandro Placidi

Lavoro nella Pubblica Amministrazione come istruttore contabile dopo aver fatto per anni l'operaio metalmeccanico. Sono attivista sindacale della CGIL, amo fare sport all'aria aperta e viaggiare zaino in spalla; m'interessa la politica nazionale e locale. Non possiamo fare a meno di giudicare l'oggi per costruire il futuro: analizzare i fatti che accadono sotto casa nostra per inserirli nel contesto del mondo in cui viviamo può aiutarci a creare, anche in un "territorio disperso" come il nostro, una coscienza comune per costruire un mondo con meno disuguaglianze, razzismo, inquinamento e sfruttamento.

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