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Si è tenuto lo scorso 20 maggio, a Bevagna, uno degli appuntamenti senz’altro più ben pensati e interessanti degli ultimi tempi dalle nostre parti, per parlare  di politica. Per una democrazia ad alta intensità attraverso forma diverse di impegno civico. Questo l’ambizioso e articolato titolo del convegno che di certo non ha deluso le aspettative. Gran parte del merito va senz’altro all’alto livello di preparazione di coloro che sono stati invitati ad intervenire (nomi e presentazione); ma va allo stesso tempo sottolineato quanto il contesto che ha fatto da substrato all’evento sia stato altrettanto importante. Già da diversi anni infatti, Bevagna è teatro di una fra le più interessanti esperienze di civismo reale, quantomeno nella nostra regione. Una comunità che attraverso il gruppo Congresso Civico, è riuscita non solo a mantenere la propria identità attraverso due mandati consecutivi, ma che proprio a partire dalla riconferma si è dedicato ad attivare spazi di confronto e riflessione proprio su uno dei temi più complessi e allo stesso tempo interessanti della vita politica contemporanea: la partecipazione.

 

A coordinare l’intero pomeriggio è stato il prof. Allegretti, ricercatore del Centro di Studi Sociali dell’Università di Coimbra, in Portogallo, che sin dall’intervento introduttivo ha acceso l’attenzione dei partecipanti. Sottolineando come l’individualismo della nostra epoca stia portando sempre più persone a mettere in secondo piano la vita collettiva e sociale, ha posto proprio in questo approccio alla vita figlio del neoliberismo, la ragione dell’abbassamento dell’intensità della vita democratica. Persone sempre più scollegate da momenti di vita comune, cominciano lentamente a non sentirsi più parte di un momento collettivo e da esso si distaccano, cessando di condividere l’idea di un vivere insieme. Effetto che sul piano politico si traduce in una sempre più difficile comunicabilità fra i centri di governo e le realtà territoriali. Per esmplificare questa evenienza, il professore ha portato l’esempio della municipalità di Porto Alegre, in Brasile, dove l’amministrazione, per andare incontro ai problemi di viabilità di una comunità, ha pensato di asfaltare la strada principale che la univa al resto della rete di trasporti. Un atto che spesso costituisce l’archetipo di ciò che ci si aspetta da un amministratore qui in Italia. Senonché, alcune cause contingenti (struttura del terreno, clima, scarsa possibilità di fare manutenzione) hanno rapidamente portato l’intervento, perfino a peggiorare le situazione rispetto a prima. La strada ora era ancora più problematica e pericolosa. Qui però, si è accesa quella luce tipica dell’America Latina che tanti ha sedotto, per cui si è innescato un momento di riflessione collettiva tra amministrazione e popolazione per risolvere il problema (e togliere quell’asfalto). La soluzione dunque, è stata trovata attraverso partecipazione reale e allargata al momento di governo, che porta i suoi frutti migliori quando riesce a precedere l’azione anziché ripararne le conseguenze negative.

 

Proprio sulle implicazioni di questo passaggio si è innestato l’intervento del Dr. Marco Bentivogli, attivista e co-fondatore di Base Italia, startup civica indipendente. La partecipazione è l’architrave della democrazia, senza quella, anche questa viene meno perché vengono meno i presupposti per cui era nata: allargare le maglie della vita politica a tutti i cittadini che fossero disponibili e interessati a fare la loro parte. Base Italia nasce proprio per fornire alle persone occasioni per partecipare, per generare buoni motivi per prendersi cura del posto in cui si vive. Missione per la quale il mondo politico italiano di oggi si sta rivelando inadeguata principalmente per un motivo: il nostro sistema è incentrato più sull’autoriproduzione della classe dirigente, che non sull’estensione e sul ricambio. Ne sono prova inequivocabile le leggi elettorali basate sui listini bloccati o le dinamiche poco democratiche che regolano molti partiti al proprio interno. Per questo il mondo del civismo costituisce una risorsa preziosa, perché riesce a portare all’interno della rappresentanza pezzi della società civile, e così facendo crea delle fratture nel meccanismo di replicazione che ha portato alcuni parlamentari a rimanere in carica anche per più di 40 anni.

 

Linea sulla quale ha concordato in pieno anche Franco Barbarella, Presidente dell’Alleanza Civica Italia Centrale. Il confronto con gli altri e la capacità di mettersi in discussione sono le chiavi per riallineare la politica con le sfide del tempo. Importanti momenti di crisi che impattano sulle piccole come sulle grandi comunità e le spingono a portare su un piano comune il proprio impegno. Se è appurato che su scale ridotte il civismo spesso sa dare le risposte migliori perché è più inserito all’interno del tessuto sociale, è altrettanto vero che è un peccato fermarsi qui e non provare a portare i suoi valori e il suo modus operandi ad un livello superiore. Per questo il 17 giugno nascerà la Federazione Civica Nazionale, ossia il centro di coordinamento unico delle reti civiche già presenti nel nord, nel centro e nel sud Italia. Un evento epocale in un Paese che sta diluendo sempre di più la partecipazione collettiva in favore delle esigenze di potere degli esecutivi (taglio dei parlamentari, riduzione del potere delle assemblee); richiesta che spesso scambia velocità d’intervento per capacità di fare la cosa giusta nell’interesse dei cittadini. Per questo il civismo è federativo: unisce i diversi e genera ricchezza, rafforza l’identità attraverso il confronto. Non a caso, la parola latina foedus, significa patto tra vari.

 

Molto interessante anche l’intervento del prof. Guzzino del Centro per lo studio dinamiche complesse dell’ Università di Firenze, che dal mondo della psicologia ha portato l’approccio scientifico all’interno del dibattito. Poiché la scienza non indaga la verità in sé, ma cerca la capacità di prevederla, in questa nostra riflessione diventano fondamentali due aspetti della psiche umana: partecipazione e cambiamento. Soprattutto la loro relazione, quanto cioè, partecipare possa portare al cambiamento, ma anche, quanto il cambiamento possa essere realmente conseguenza della partecipazione. Si scopre così che, anche rispetto ai sistemi complessi come le comunità umane o il cambiamento climatico, la capacità di lettura del mondo scientifico sono enormi, ben altra cosa però, è il tradurre questa conoscenza in scelte politiche. Per questo non ci sono ricette, come non ce ne sono per aumentare la partecipazione; essa stessa infatti è parte di un cambiamento in arrivo, quando c’è. Non resta perciò che affidarsi alla radice umana delle cose, all’immaginazione, quella capacità straordinaria che ci porta a pensare possibile ciò che ancora non lo è.

 

Il Dr. Zunino, ricercatore del centro per i conflitti e la partecipazione alla LUISS di Roma affronta invece il tema della politica dell’eterno presente, un mondo senza futuro né previsione in cui si vive di emergenze impreviste e imprevedibili che esigono l’inevitabile sacrificio della pratica politica e quindi, della sua responsabilità. La partecipazione diventa quindi un’elargizione, uno spazio che come una riserva indiana costituisce il mondo in cui, ben delimitati, gli individui che desiderano fare attività politica possono giocare a farlo, al riparo da ogni possibilità di lasciare un segno concreto. 

 

Come conclude brillantemente il prof. Sorice, direttore del centro per la partecipazione e i conflitti alla LUISS di Roma, la partecipazione è tale solo se produce uguaglianza. Le crisi che attraversiamo non sono eventi imprevedibili, esse sono connaturate al sistema capitalistico che oggi governa il mondo; ne ha bisogno per rinnovarsi e proseguire la sua corsa sfrenata verso l’arricchimento di sempre meno persone. Ciò che fa la democrazia è gestirle attraverso processi partecipativi che frenino questa indole, questa impronta che il neolibersimo ha dato alle nostre vite, illudendoci che sia più importante decidere in fretta che bene.

 

Un solo commento, a conclusione di questo articolo già denso di contenuti. Il 20 maggio a Bevagna, una cinquantina di persone, diverse delle quali con fogli e penna in mano, hanno dato prova che parlare di politica si può e che farlo è l’unico modo per evitare che questa diventi l’entità incompresa e incomprensibile che tanti oggi percepiscono. E se dovessero emergere delle divergenze in sede di discussione, tanto meglio, perché è solo dall’incontro fra diverse opinioni che si può pensare di costruire un futuro comune.

Andrea Cimarelli

Andrea Cimarelli

Andrea Cimarelli è laureato in Filosofia all'Università degli Studi di Macerata. Coltiva, la terra per mestiere, l'amicizia per passione, se stesso per vocazione. Già redattore della rivista Ritiri Filosofici, osserva il mondo per comprenderlo e difenderlo. Collabora attivamente con l'hub Territorio e Ambiente della Rete di Civici Per l'Umbria. Favorevole a vaccini, matrimoni gay e 5g.

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