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STORIE DI DOLORE

Maria Boccuzzi, figlia di braccianti agricoli di origini calabresi, si trasferì a Milano in cerca di fortuna; vi trovò invece la morte, uccisa con colpi d’arma da fuoco e gettata nel fiume nel 1953. “Questa di Marinella è la stori vera” e come lei quella di tante altre donne: giovani, anziane, madri, figlie, bambine, mogli partite dalla miseria in cerca di un futuro migliore. Lo erano le 35 donne morte davanti alle coste di Cutro, donne provenienti dalla Siria, segnate da anni di guerre.

Sono storie di libertà limitata, di diritti negati, di possibilità cancellate, di violenze celate e di vite distrutte. Sono atteggiamenti, comportamenti intrecciati tra retaggi culturali e ignoranza. Sono nelle nostre case, sono nel nostro quotidiano. Talvolta sono piccolezze, sembrano quasi sciocchezze, cose da poco. Li subiamo.

Saman Abbas, ragazza pakistana di 18 anni, viene uccisa e occultata dagli “uomini” della famiglia dopo che aveva denunciato maltrattamenti, la confisca dei documenti e l’induzione al matrimonio. Uccisa perché aveva rifiutato un matrimonio combinato.

Barbara Ciocioni, quando venne uccisa a Marsciano dal marito nel 2007, aveva 33 anni ed era all’ottavo mese di gravidanza della loro terza figlia.

Dina Dore, uccisa a Gavoi (Sardegna) nel marzo del 2008 sotto gli occhi della figlia di 8 mesi. Il mandante dell’omicidio fu il marito, il dentista Francesco Rocca.

Melania Rea aveva 29 anni quando venne uccisa dal marito Salvatore Parolisi con 35 coltellate, lasciando orfana la figlia Vittoria di 18 mesi.

Giulia Donato, Martina Scialdone, Oriana Brunelli, Teresa Di Tondo, Yana Malayko, Melina Marino, Santa Castorina, Sigrid Gröber, Iulia Astafieya, e Maria Febbronia Buttò sono le donne che sono state uccise in Italia dall’inizio del 2023 [1] per mano del marito, del compagno o dell’ex compagno [2].

Sara Trionetti

 

STORIA DI DIRITTI NEGATI [3]

Solo verso la fine dell’Ottocento le donne in Italia cominciano a vedere riconosciuti alcuni dei basilari diritti umani: quello all’istruzione, ad esempio, viene ottenuto nel 1874, quando alle donne è consentito l’accesso ai licei e alle università (anche se molti istituti continuarono a rifiutare le iscrizioni femminili e molte professioni rimasero precluse a laureate e diplomate). Nel frattempo, nei luoghi in cui la concentrazione di donne è maggiore, come i campi e le fabbriche, nascono i primi sindacati operai e le organizzazioni di lavoratrici.

I progressi legislativi sono lenti e spesso ottenuti nei contesti in cui lo sfruttamento si presentava a livelli estremi: nel 1902 viene approvata la legge proposta da Paolo Carcano, Ministro delle Finanze durante il governo Zanardelli, che vieta a donne e bambini la mansione di minatori e limita le ore lavorative giornaliere a 12. Durante il primo conflitto mondiale, mentre gli uomini sono impegnati al fronte, sono le donne a prendere il loro posto di lavoro. Il grande contributo femminile durante questo periodo così particolare riaccende il dibattito sulla loro condizione.

Con la Legge Sacchi, nel 1919 viene abolita l’autorizzazione maritale e consentito alle donne l’accesso ai pubblici uffici, esclusi la magistratura, la politica e l’esercito.

Il regime fascista promuove l’ideologia che vede nella procreazione il principale dovere della donna. I diritti acquisiti fino a quel momento vengono declassati e inasprite le leggi che sottomettono la donna alle scelte di padri e mariti. Tra le nuove norme del Codice Penale, in questo periodo si trova l’art.587, che prevede la riduzione di un terzo della pena per chi commetteva un delitto d’onore.

Con le leggi razziali del 1938, l’emancipazione delle donne subisce una tragica e ulteriore battuta d’arresto. Si tratta però dello spunto per una tanto attesa partecipazione femminile alla “ribellione”, che si organizza nei gruppi di difesa antifascisti e nella Resistenza.

Alla fine della guerra viene finalmente riconosciuta l’importanza del ruolo svolto dalle donne durante gli anni del conflitto. Già dal 1945 viene approvato il suffragio femminile, grazie all’impegno dei movimenti pro-voto e alla proposta di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti.

È in occasione del Referendum istituzionale del 2 giugno 1946 che viene consentito per la prima volta alle donne di votare: ai cittadini viene chiesto di scegliere il destino del Paese tra Monarchia e Repubblica.

Finalmente, nel 1948 viene redatto il testo della Costituzione Italiana, che nell’art.3 garantisce pari diritti e pari dignità sociale alle donne in ogni campo.

Negli anni Sessanta, alle donne venne riconosciuto il libero accesso alle professioni. Con la legge n° 66 del 9/02/1963, alle donne è consentito entrare in Magistratura. Bisognerà attendere il 1981 per vederle partecipare al corpo di Polizia e addirittura al 1999 per la loro ammissione nelle Forze Armate.

Negli anni Settanta avveniva la rivoluzione copernicana della riappropriazione di sé attraverso la pillola, l’aborto e il divorzio. Era la rivendicazione giuridica di un habeas corpus contro modelli stereotipati di cui il controllo della sessualità sulla donna è stato il principale “sacralizzato” tassello. Il corpo è sempre stato il “luogo” nel quale si sono resi visibili i reali rapporti di potere tra i due generi (attraverso il controllo del corpo della donna nella sua subordinazione all’uomo).

Alle fine degli anni ‘90 lo stupro divenne reato.

Molte sono state le conquiste e la condizione delle donne in Italia è radicalmente cambiata rispetto al passato, merito di una maggiore partecipazione alla società e alla vita politica, seppure con limiti ancora molto evidenti. La lotta al femminile per arrivare a questi primi risultati è stata lunga, difficile e caratterizzata da secoli di ingiustizie, ostacoli e sacrifici. Evidentemente non è ancora abbastanza: gli obiettivi conquistati dalle donne sono stati grandi, ma il percorso verso la parità è ancora lungo, specialmente in ambito professionale.

Secondo il Global Gender Gap Index, il rapporto pubblicato dal World Economic Forum, per valutare i progressi fatti verso la parità di genere nei settori della politica, dell’economia, dell’istruzione e della salute di 153 paesi, nel 2019 l’Italia si classificava al 76esimo posto. Complice, sicuramente, il retaggio di una mentalità patriarcale, che ha visto nel corso della storia le donne “solo” mogli e madri. Questo modo di pensare, seppure del tutto anacronistico, ha ancora effetti sulle scelte di molte ragazze e lavoratrici che subiscono determinate forme di ragionamento.

Alessandra Fasulo Di Giacomo

 

STORIE DI SPERANZA

L’8 marzo è il giorno della Festa della Donna, una ricorrenza nata per ricordare le lotte sociali e politiche che le donne hanno dovuto affrontare affinché la loro voce venisse ascoltata.

Nel mondo occidentale, pur godendo dei diritti basilari che sono stati conquistati lottando, la strada da percorrere per ottenere una vera e propria parità tra uomo e donna è ancora lunga. Se allarghiamo i nostri orizzonti possiamo notare come, al giorno d’oggi, ci sono ancora donne che lottano per ottenere ciò che noi occidentali diamo per scontato, come il diritto all’istruzione e alla libertà di scelta, donne che, per volere di qualcun altro, vengono considerate proprietà dei mariti e non sono libere poter mostrarsi in pubblico senza essere accompagnate da un uomo.

Dovremmo tutti riflettere quotidianamente sui diritti e sulle libertà che noi abbiamo, senza essere indifferenti nei confronti delle donne che, al contrario nostro, devono lottare quotidianamente per poter essere libere.

Poter scegliere cosa indossare senza essere giudicate, poter decidere cosa voler fare della propria vita senza dover essere sottoposte a giudizi, poter avere le stesse possibilità salariali e lavorative di un uomo, poter essere libere di decidere quando e se avere figli e di non rischiare di perdere il lavoro se si decide di diventare madri, sono aspetti che dovrebbero essere normalizzati e far parte degli ideali di tutti affinché si possano ottenere veri e propri cambiamenti.

Dobbiamo lottare tutti insieme, uomini e donne, affinché si possa eliminare questa separazione sociale ed economica che costringe le donne a dover faticare sempre un po’ di più per ottenere ciò che ad un uomo spesso viene concesso più facilmente.

L’8 marzo funge da promemoria, ma è il resto dei giorni che si fa la differenza.

Ramona Santini

 

[1] www.femminicidioitalia.info

[2] Abbiamo in precedenza affrontato più volte l’argomento della violenza sulle donne e sul gender-gap. Pertanto consigliamo la lettura dei pezzi: “La vera forza è nel rispetto”, “Gender gap e il più grande furto della storia”.

[3] Si consiglia lettura di approfondimento: “Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia” Fondazione Nilde Iotti, che argomenta l’impatto sociale della lotta femminile sul Paese e sulla mentalità generale.

Redazione

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Il Sadadì è un’esperienza che nasce per far luce sulle ombre che avvolgono le aree marginali di questa Italia piena di sgomento e di racconti a metà. Per aprire finestre sul legame tra le vicende dei grandi palazzi e le loro ripercussioni sulla galassia di piccoli paesi che li circonda. Il blog è aperto e le nostre bio sono in calce, perché chi ha il coraggio di dire, deve avere anche il coraggio di mettere la faccia di fianco alle proprie idee. Tutto è pronto, che il racconto abbia inizio.

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