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La storia dell’arte non è fatta solo dai sommi e dai più celebri, ma anche da una moltitudine di artisti locali, periferici, impropriamente chiamati minori, capaci però di realizzare opere di straordinaria bellezza che arricchiscono il nostro patrimonio culturale. Sono le solide fondamenta della nostra cultura artistica, senza le quali, probabilmente, anzi sicuramente, non avremmo avuto i grandi, come ad esempio Perugino di cui quest’anno ricorrono i 500 anni dalla morte.

Affinché tutto questo tesoro non vada sprecato, è necessario studiare, ricercare e ricordare questi artisti e le loro opere cosicché non cadano nell’oblio.

Tra questi locali, che la critica ha recuperato negli ultimi anni, vi è Ascensidonio Spacca detto il Fantino di Bevagna. Un artista considerato un minore che ha però ricoperto un ruolo per nulla marginale nel panorama umbro.

Poche e scarse le notizie sulla sua vita. Certa risulta essere la data di morte, grazie ai documenti di archivio, avvenuta il 27 novembre 1646. Dal verbale del processo di canonizzazione del Beato Andrea da Spello, del 1630, conosciamo invece il suo appellativo: “D. Ascensidonio Spacca Mevanas appellatus il Fantino pictor di anni 73 circa“. Da questo documento riusciamo quindi anche a desumere l’anno di nascita, il 1557. In merito all’origine del suo appellativo invece, l’ipotesi più attendibile sembra essere il fatto che il pittore fosse di bassa statura: l’epiteto il “fantino” deriverebbe quindi dal latino infans da cui infante, fante.

Fu prolifico tra la seconda metà del ‘500 e la prima metà del ‘600 lasciando opere nella sua Bevagna, a Spello, a Trevi, a Gualdo Cattaneo e in tutta la zona del folignate.

Nulla sappiamo circa eventuali discendenti ma la critica è ormai concorde nella notizia dell’apprendistato del talentuoso Andrea Camassei presso la bottega del maestro. Il Camassei viene infatti citato nel testamento del Fantino il quale gli cede in eredità “i ferri del mestiere“.

Sembrerebbe che Ascensidonio Spacca non lasciò mai Bevagna e il suo circondario.

Dall’attenta osservazione delle sue opere si evince però che probabilmente il maestro fece dei viaggi studio a Roma perchè le sue opere mostrano componenti che trovano chiaramente le radici nel tardo manierismo dell’ Italia centrale, che riesce a coniugare sapientemente con una vena narrativa popolare, costruendo in questo modo la sua poetica.

Il Fantino si forma in Umbria, con la sua forte tradizione di pittura sacra di cui poi diviene espressione; nonostante la sua scelta di rimanere in “periferia”, non rimane all’oscuro sulle nuove tendenze tardomanieristiche che da Roma giungevano nell’entroterra umbro (probabilmente grazie anche alla diffusione di stampe).

Non per questo però il Fantino è un mero esecutore, anzi: codifica un aggiornato linguaggio di pittura devota dove alle influenze di Barocci, di Zuccari e del Nebbia si sommano inclinazioni arcaicizzanti neoquattrocentesche e il gusto per una pittura viva e moderna con contrasti di luce e ombre.

Non a caso Claudio Strinati rileva delle assonanze tra le sue opere e quelle di Domínikos Theotokópoulos, al secolo El Greco, che forse non conobbe ma con cui condivise le tendenze di unione del fervore artistico proveniente da oriente e quello religioso dell’occidente (approfondisci qui. Inoltre non bisogna dimenticare l’attribuzione di qualche anno fa del tabernacolo del Museo di Bettona all’artista ellenico, effettuata dallo studioso Guerrino Lovato, che, assieme al ritratto eseguito per il cavaliere Vincenzo Anastagi, testimonia il passaggio di questo artista tra le colline umbre).

Tra le sue opere che ci sono pervenute, e vista la ricorrenza odierna del giovedì santo, vorrei soffermarmi e puntare i riflettori sull’opera di Ascensidonio Spacca che arricchisce l’abside della chiesa dei SS. Antonio e Antonino a Gualdo Cattaneo e raffigurante “l’Ultima Cena“.

Si tratta di un soggetto ricorrente nella storia dell’arte. Solitamente immortala il momento del convivio in cui Gesù annuncia il tradimento da parte di uno dei 12 apostoli. La sfida posta è quindi quella di rappresentare il dramma e l’incredulità nei volti degli apostoli. Gesù è consapevole di ciò che accadrà di lì a poche ore, di Pietro che lo avrebbe rinnegato per ben tre volte e di Giuda, solitamente ritratto sul lato opposto del tavolo rispetto al Cristo, artefice del noto tradimento. Spesso, dalla pittura rinascimentale, è possibile individuare Giuda perchè ritratto con l’iconico sacchetto contenente i 30 denari, compenso per il suo tradimento.

In quest’opera è di indubbio interesse riscontrare come il pittore abbia cercato di sfruttare a pieno la superficie pittorica a disposizione disponendo i 13 personaggi della scena attorno al desco imbandito, rappresentato a ferro di cavallo, col punto di fuga posto al centro in corrispondenza della figura del Cristo.

La tavola presenta notevoli lacune e precarietà della pellicola pittorica; nonostante questo si può apprezzare come il pittore faccia emergere i personaggi con decisi contrasti di luci e ombre, anticipando, a suo modo, come detto pocanzi, quella che sarà la pittura chiaroscurale del ‘600.

Anche un’altra chiesa del nostro Comune si fregia della presenza di un’opera del Fantino di Bevagna. Si tratta della “Madonna di Costantinopoli” nella chiesa di San Giorgio a Torri di Barattano.

Il pittore della vallata” non è nuovo a questo soggetto che, con le dovute varianti, ripropone più volte. Nell’opera gualdese, nella parte superiore la Vergine Madre, con in braccio il Salvatore, ricalca l’iconografia delle icone bizantine; nella parte inferiore invece vediamo rappresentati santi e prelati della devozione locale, espressione della committenza. A dividere in due parti il dipinto abbiamo un plumbeo nembostrato a separare la sfera divina da quella terrena.

Si tratta di un soggetto caro alla Chiesa: rispondeva alle esigenze di catechesi dei fedeli, come esigeva la Riforma Cattolica, esprimendo pietà, austerità e cordoglio, seguendone le ferree regole.

Tutto questo discorso si iscrive nella cornice storica: il Concilio di Trento è appena terminato (1545-1563), la Riforma Cattolica trova nell’arte il suo strumento di espressione e l’Umbria assume una posizione strategica come luogo in cui si intersecano numerose vie di comunicazione, con Foligno come importante snodo. Questo nostro territorio diventa quindi un luogo di transito e di scambio, dove affluiscono anche artisti forestieri.

Al termine di questo breve excursus su Ascensidonio Spacca, un uomo vissuto più di 4 secoli fa, a cavallo tra ‘500 e ‘600 e nostro conterraneo, ritengo che non ci accomunino soltanto i natali. Artista dalle indiscusse e riconosciute doti, notevolmente apprezzato dai committenti ecclesiastici che gli affidano numerosi e prestigiosi incarichi, aggiornato sulle più recenti tendenze artistiche, queste le fa sue, le rielabora e le adatta al gusto e alle esigenze della committenza, coniando un linguaggio personale ma moderno e anticipatario, chiaramente distinguibile, per dare voce alla sua terra nella quale decide, con consapevolezza, di restare.

Una scelta che a molti, sono certa, sembrerà familiare.

 

Bibliografia:

B. PONTI, C. PONTI, Ascensidonio Spacca detto il Fantino di Bevagna, Fabrizio Fabbri Editore, Perugia 1998.

G. URBINI, Spello Bevagna Montefalco, Istituto Italiano di Arti Grafiche, Bergamo 1913 (ristampa 1997).

B. TOSCANO, La pittura in Umbria nel Seicento, in La pittura in Italia nel Seicento, tomo I, Electa, Milano 1988.

G. SAPORI, ad vocem Ascensidonio Spacca detto il Fantino, in La Pittura in Italia. Il Seicento, tomo II, Electa, Milano 1988.

Sara Trionetti

Sara Trionetti

L’arte e la letteratura mi appassionano da sempre, perciò intraprendo studi classici. L’attaccamento all’Umbria si esprime in ambito accademico con tesi specialistiche legate al territorio, poi in ambito lavorativo, prestando servizio in molti musei della Regione, e infine come guida escursionistica e accompagnatore turistico. Con passione accompagno italiani e stranieri alla scoperta della storia, delle tradizioni, del buon cibo e della natura della mia amata Umbria. I tramonti mi commuovono, il panorama dalle vette delle montagne anche. Le mie giornate sono piene di ore di studio, escursioni con Foresta e sport. Sono cresciuta nel volontariato, attività che ho svolto con impegno e dedizione. Sono una di quelle persone che ha scelto di rimanere perché crede nelle potenzialità di questo territorio.

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