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A Dubai, negli Emirati Arabi, dal 30 novembre al 12 dicembre, si è tenuta la 28° Conferenza delle Nazioni Unite (Cop28) sul clima dove 197 Paesi partecipanti, più la rappresentanza dell’UE, si sono riuniti con l’obiettivo di adottare misure per far fronte ai cambiamenti climatici cercando di concretizzare l’Accordo di Parigi siglato nel 2015 durante la Cop21[1].

Molti italiani non sanno nemmeno dell’esistenza e dello svolgimento di questa conferenza da cui però dipende il futuro di tutto il pianeta, delle prossime generazioni e di interi popoli.

La principale questione, o almeno quella più attesa, riguardava la possibile decisione dell’eliminazione dei combustibili fossili. La scelta di svolgere questa conferenza in un territorio che deve la sua crescita e la sua ricchezza proprio ai combustibili fossili, decretava un serio svantaggio già in partenza. Inoltre il ruolo chiave di questo consesso, il Presidente della Conferenza, celava o la possibilità di intraprendere realmente la strada verso una nuova Rivoluzione Industriale oppure la possibilità di porre una definitiva lapide su una tomba scavata dall’uomo con le nostre stesse mani. A presiedere la Conferenza vi è stato Sultan Al Jaber: un dottorato in economia, è amministratore delegato di Adnoc, la compagnia che gestisce l’estrazione del petrolio di Abu Dhabi. Che ci fosse quindi un conflitto di interessi è abbastanza ovvio e le dimostrazioni non sono tardate ad arrivare. Infatti il 3 dicembre il Presidente si è espresso contro l’eliminazione dei combustibili fossili, uno degli obiettivi del summit, sostenendo che, se questo accadesse, significherebbe “un ritorno al tempo delle caverne”. La risposta a questa dichiarazione arriva da Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu: “Affermazioni assolutamente preoccupanti e sull’orlo del negazionismo climatico”[2]. Al Jaber ha inoltre dichiarato che “Nessuna scienza dimostra che un’uscita dai combustibili fossili é necessaria per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C sopra i livelli pre-industriali”. Si tratta di affermazioni che, oltre a non essere veritiere, allontanavano bruscamente la Conferenza dagli obiettivi preposti. Lo stesso giorno la Banca Mondiale smentisce quanto da lui asserito, lanciando invece l’allarme: il surriscaldamento globale potrebbe uccidere entro la metà del secolo almeno 21 milioni di persone. I cinque principali fattori di rischio per la salute legati ai cambiamenti climatici sono: il caldo eccessivo, il blocco della crescita, la diarrea, la malaria e la dengue. La Banca Mondiale stima inoltre che entro il 2030 l’impatto del climate change sulla salute porterà altre 44 milioni di persone nella condizione di estrema povertà, per non parlare dell’altra conseguenza: quella delle migrazioni climatiche.

Quasi il 60% dei Paesi partecipanti erano intenzionate a triplicare il ricorso alle rinnovabili, il 40% dell’industria del petrolio a ridurre le emissioni. Ed è proprio su questo punto che si è giocata la partita: si è passati dalla possibile decisione dell’eliminazione dei combustibili fossili alla proposta di una graduale riduzione degli stessi.

Quale ruolo ha ricoperto l’Italia in questo consesso internazionale? Italia: irrilevante.

Iniziamo dal discorso della Premier Meloni. Un discorso vago in cui sono stati ripetuti i già noti concetti di “transizione non ideologica” e di “pragmatismo” da perseguire (e cioè continuare a operare come se il collasso climatico non fosse già in atto); è emersa però la volontà di difendere gli interessi delle compagnie strategiche nazionali, così come suggerito anche dalle parole del ministro Fratin che oltre a ribadire un’uscita graduale dall’utilizzo dei combustibili fossili, ha affermato che “il phase out dei fossili deve valutare anche le condizioni dei singoli Paesi. E il nostro è ancora fortemente dipendente dai fossili, con una serie di imprese che non possono arrivare alla decarbonizzazione pura. Occorre individuare percorsi di transizione per le imprese altamente energivore, magari adottando nuove tecnologie come la cattura della Co2 emessa”[3]. Il ministro continua a sostenere l’idea dell’Italia come hub energetico, allo scopo di usare il gas estratto in Africa e in MediOriente per poi esportarlo verso l’Europa del Nord. “Questo significa – ha aggiunto il ministro – incrementare, con il piano RePower Eu, i nostri gasdotti”. A parte queste affermazioni rilasciate in un’intervista su Repubblica, l’Italia rimane fuori dai tavoli delle trattative, ricoprendo così un ruolo marginale a cui l’hanno relegata i nostri rappresentanti.

Analizziamo meglio la figura del Ministro Fratin che, in rappresentanza dell’Italia e capofila della delegazione italiana alla COP28, ha dato conferma della sua inadeguatezza a ricoprire l’incarico che gli è stato assegnato. In poco più di un anno di dicastero, è emersa più volte la sua inadeguatezza, vista la sua formazione e professione, a ricoprire il ruolo di i Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (lui infatti è un commercialista). Volendo tralasciare le sue gaffe, i commenti inopportuni o le dichiarazioni imbarazzanti, resta la totale ignoranza nelle lingue straniere, quantomeno dell’inglese, indispensabile in un incontro di così alto prestigio internazionale. L’inadeguatezza del Ministro ha fatto sì che l’Italia rimanesse ai margini delle trattative fino a restarne proprio fuori quando, per il protrarsi dei negoziati, il Ministro decide di lasciare la Conferenza prima della sua fine per impegni presi precedentemente (brandire una racchetta da ping pong nell’omonimo programma radio di Annalisa Chirico in cui è stato intervistato). A risollevare, in parte, le sorti dell’Italia ci ha pensato il resto della delegazione, una equipe composta in tutto da quaranta persone di elevato valore, prestigio e competenze.

Tornando alla Conferenza, dopo giorni di dibattito, dove invece di progredire si è drasticamente tornati indietro sui propri passi, Al Jaber ha proposto il majlis: un termine arabo che vuol dire “salotto” e che indica le assemblee dove si risolvono problemi. L’obiettivo era quello di trovare una soluzione per cercare di superare le divisioni sulle fonti fossili. Un tentativo ultimo del Presidente della Conferenza per cercare di venire a capo di un testo che porti a impegni concreti nella lotta alla crisi climatica, o quantomeno a un qualche tipo di risultato.

Dopo una lunga serie di negoziati falliti e lo stralcio delle precedenti bozze, la mediazione ha portato, in zona Cesarini, all’approvazione per consenso del Global Stocktake. Nel testo i partecipanti alla conferenza si impegnano a ridurre le emissioni di gas serra, intento espresso con la formula transition away, ovvero “transitare fuori” dai combustibili fossili e di accelerare tale processo per raggiungere la neutralità nel 2050. Questo l’obiettivo a cui, con tanta fatica, si è infine raggiunti. Nel documento redatto, di 21 pagine, il termine “uscita” dai combustibili fossili, proposto da più voci e inizialmente presentato ma inviso ai Paesi produttori di petrolio, ha lasciato il posto a termini meno netti, più vaghi. Nonostante ciò, è stato chiarito l’intento di affrontare il futuro di tutti i combustibili fossili, petrolio, gas e carbone.

Ancora una volta si è rimandato a un domani, che non è più così lontano, un problema che ci investe già oggi. Ancora una volta il qui e ora, gli interessi economici di pochi hanno prevalso sul futuro di tutti. Non sono problemi lontani da noi, non sono queste decisioni che non ledono le nostre vite. L’innalzamento delle temperature, i violenti fenomeni atmosferici, la crisi idrica, la desertificazione, queste problematiche globali le viviamo già da anni eppure continuiamo a meravigliarci delle alluvioni, del costo esagerato di frutta e verdura, dei rubinetti a secco in estate, della siccità nelle campagne, e questo solo perché viviamo nella parte fortunata del Mondo.

“Siamo ciò che facciamo non quello che diciamo – ha affermato a conclusione della Conferenza Sultan Al Jaber – quindi sono importanti le azioni che metteremo in campo”.

Che alle parole seguano quindi i fatti.

 

 

 

[1] Si tratta di un trattato internazionale che prevede la collaborazione dei Paesi delle Nazioni Unite per controllare il riscaldamento globale tenendolo sotto la soglia critica di 2°C rispetto all’era preindustriale e al di sotto di 1,5°C.

[2]  Le affermazioni sono state riportate dal Guardian e dall’organizzazione di giornalismo investigativo Centre for Climate Reporting, e sarebbero state pronunciate nel corso di una sessione dei lavori.

[3] Intervista su Repubblica dell’11 dicembre 2023.

Sara Trionetti

Sara Trionetti

L’arte e la letteratura mi appassionano da sempre, perciò intraprendo studi classici. L’attaccamento all’Umbria si esprime in ambito accademico con tesi specialistiche legate al territorio, poi in ambito lavorativo, prestando servizio in molti musei della Regione, e infine come guida escursionistica e accompagnatore turistico. Con passione accompagno italiani e stranieri alla scoperta della storia, delle tradizioni, del buon cibo e della natura della mia amata Umbria. I tramonti mi commuovono, il panorama dalle vette delle montagne anche. Le mie giornate sono piene di ore di studio, escursioni con Foresta e sport. Sono cresciuta nel volontariato, attività che ho svolto con impegno e dedizione. Sono una di quelle persone che ha scelto di rimanere perché crede nelle potenzialità di questo territorio.

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