9 anni fa il ministro dell’economia Padoa-Schioppa li definiva “bamboccioni” pigri da cacciare fuori di casa, oggi i millennials (o Generazione Y, quella dei nati tra i primi anni ’80 e la metà degli anni ’90) sono accusati delle culle vuote e del conseguente calo demografico. Si tratta di un tema ampiamente in voga in questo momento tra le testate giornalistiche: il calo della natalità a livello nazionale desta forti preoccupazioni, soprattutto se si considera la prospettiva futura.
La Fondazione Di Vittorio lancia l’allarme: il calo della popolazione e l’invecchiamento della stessa fanno saltare l’equilibrio demografico che porterà a un punto di non ritorno, necessitando quindi un intervento tempestivo. Si calcola che in Italia nel 2043 il numero delle persone in età da lavoro crollerà a -7 milioni di unità, livello questo insostenibile[1].
La colpa di questo trend viene attribuita dai più alle forme di lavoro precario con cui questa generazione fa i conti, che non permettono stabilità economica impedendo quindi ogni progettualità futura, che sia decidere di avere figli o sostenere una spesa importante come l’acquisto di una casa.
Senza dimenticare che la decisione di avere figli resta una scelta personale, libera da condizionamenti o obblighi di qualsiasi tipo, siano essi sociali, biologici o morali, il calo della natalità italiana è veramente attribuibile solo alle forme di lavoro precario?
A livello europeo l’Italia si piazza al terzultimo posto con 1,25 nascite per donna, seguita solo da Spagna (1,19) e Malta (1,13). In cima alla graduatoria dei Paesi più prolifici abbiamo la Francia con 1,84 bambini nati per donna[2]. In termini di occupazione, in Francia il 65% ca. dei cittadini tra i 15 e i 64 anni ha un lavoro retribuito mentre in Italia il tasso di occupazione si attesta al 60,8% (+0,1 punti). Il dato su base mensile è in diminuzione (-0,6%, pari a -12mila unità) tra le donne, i minori di 35 anni e gli ultracinquantenni. Il tasso di disoccupazione totale è stabile all’8,0%, quello giovanile scende al 22,4% (-0,4 punti)[3].
L’Umbria non sembra discostarsi dai dati nazionali. Nel IV trimestre 2022 si registra una flessione dell’occupazione (-1.951 unità, 0,6% rispetto al 2021). Questo calo ha riguardato sia la componente maschile che quella femminile, gli occupati tra i 25 e i 49 anni, coloro che non possiedono titolo di studio o hanno al massimo la licenza elementare o media (-6,4% rispetto al 2021), i lavoratori del comparto costruzioni (-16,5%), gli indipendenti (-3,7%), gli occupati con contratto part-time (-6,2%); aumenta invece l’occupazione tra i giovanissimi, tra 15-24 anni, e nella fascia più matura 50-64 anni[4]. Inoltre c’è da dire che l’Umbria registra uno dei dati più alti in merito al recupero dei NEET (giovani che non studiano, non lavorano e non sono in cerca di occupazione) riducendo del 5% la platea complessiva[5].
Tornando al calo demografico, questo non ha risparmiato nemmeno il Comune di Gualdo Cattaneo: nel 2011 la popolazione registrata in occasione del censimento era di 6.278 abitanti, 10 anni dopo, nel 2021, la popolazione si attesta a 5.691 abitanti. Il dato sta seguendo un trend negativo.
Sembrerebbe quindi che ci sia una correlazione tra i due fattori: il calo demografico è direttamente proporzionale al tasso di occupazione. Di questo non c’è da stupirsi. Ma è davvero solo questo?
L’incertezza lavorativa è composta da un corollario di fattori che la rendono invalicabile, ad iniziare dal percorso di studi, sempre più lungo e sempre meno finalizzato al mondo del lavoro, che crea individui altamente qualificati ma che percepiscono stipendi quasi mai adeguati a quel grado e livello di formazione[6]. A questo va poi aggiunto il costo della vita, in continuo aumento, e il mancato adeguamento in Italia degli stipendi al costo effettivo della vita[7]. Per non parlare poi dell’inadeguatezza dei servizi e dell’assistenza economica alla natalità e al sostegno delle famiglie. Infine l’imponente problema del precariato, goccia che fa inevitabilmente traboccare il vaso.
La CGIL Umbria lancia l’allarme emergenza redditi nella nostra Regione, dove il reddito pro-capite cala ancora: -0,2% rispetto al 2020, con Perugia, Terni e Foligno che segnano rispettivamente -0,6%, -0,7% e -1,6%[8].
La prole rappresenta, e ha rappresentato storicamente per l’Europa del passato, una risorsa come forza lavoro; inoltre la prolificità è stata ed è, spesso, una caratteristica di società culturalmente ed educativamente meno evolute: basti pensare ai Paesi del terzo mondo o quelli in via di sviluppo, oppure all’Italia del secolo scorso. Questa diminuzione della natalità è forse quindi una conseguenza di società culturalmente più avanzate come il Vecchio Continente?
Degiovanimento: con questo neologismo del demografo Alessandro Rosina la Treccani definisce “la progressiva penuria di giovani” che caratterizza la nostra società. La situazione vista nel nostro Comune rispecchia quella di tutta Italia: si tratta di un andamento progressivamente in crescita che interessa da anni la nostra società e di cui purtroppo solo adesso ce ne rendiamo conto. Anzichè assurgere a capro espiatorio la Generazione Y colpevole per il mancato compimento dei loro “doveri” procreativi, inviterei piuttosto a riflettere sui fattori sociali che caratterizzano il mondo del lavoro oggi, a cui si è accennato pocanzi. Si tratta solo del risultato di una serie di eventi, decisioni, andamenti, nazionali e internazionali, che ci hanno condotto fin qui, a questa situazione, che investe in Europa maggiormente l’Italia ma che non risparmierà progressivamente anche altri Paesi. È solo una questione di tempo.
Cosa viene fattivamente attuato per far fronte a quella che ormai viene definita un’emergenza nazionale? Dal governo che ha posto il termine, e quindi il tema, natalità al nome di un ministero, ci si aspetta un intervento quantomeno decisivo, una virata guidata in Itala dal PNRR che prende le mosse dal programma europeo Next Generation. Ci auguriamo che questa commistione di termini sia di buon auspicio.
[1] https://www.collettiva.it/copertine/italia/2023/04/30/news/sette-milioni-di-lavoratori-in-meno-nel-2043-2970300/.
[2] Analisi Eurostat.
[3] Dati Istat febbraio 2023.
[4] Dati Istat https://webstat.regione.umbria.it/mercato-del-lavoro-in-umbria-2019-2022/.
[5] https://www.regione.umbria.it/notizie/-/asset_publisher/54m7RxsCDsHr/content/neet-giovani-che-non-studiano-e-non-lavorano-umbria-tra-le-regioni-che-ne-recuperano-di-piu?read_more=true.
[6] https://italiaindati.com/disoccupazione-in-italia/ e https://italiaindati.com/salari-e-disuguaglianze-in-italia/#:~:text=Al%20crescere%20dell’et%C3%A0%20e,non%20laureati%20%C3%A8%20di%2027.662.
[7] Seguendo le indicazioni dell’Office for National Statistics, con l’inflazione che in Italia ha registrato un aumento del +11,6% a dicembre 2022,per ogni 100 euro di stipendio l’aumento non dovrebbe essere minore a 111/112 euro per essere considerato competitivo https://quifinanza.it/lavoro/inflazione-quanto-dovrebbero-aumentare-gli-stipendi/689015/#:~:text=Seguendo%20le%20indicazioni%20dell’Office,far%20acquisire%20alla%20retribuzione%20lo
[8] https://www.collettiva.it/copertine/italia/2023/04/26/news/redditi-umbria-poverta_-crisi-mobilitazione-cgil-2956923/.