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Con la pandemia che inizia ad allentare un po’ la morsa che ci ha tenuto paralizzati per due anni, la Regione Umbria sta dedicando molta attenzione in questo inizio di 2022, alla questione dei rifiuti. Diversi sono stati i pronunciamenti della giunta Tesei a riguardo, tra i quali l’ormai celebre conferenza stampa del 5 gennaio scorso,  durante la quale, insieme all’Ass. all’ambiente Roberto Moroni, ha dichiarato che il nuovo modello virtuoso per la gestione integrata dei rifiuti passerà attraverso “l’introduzione della valorizzazione energetica”. In altre parole, l’Umbria inizierà a bruciare rifiuti.

 

È su questo tema si gioca una buona parte della partita sul nuovo Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti e delle sue potenziali conseguenze sul futuro dell’Umbria. Perché se è vero, come è vero, che questo argomento si interseca in maniera netta con tematiche quali la salute e l’ambiente – mai come ora al centro del dibattito pubblico – è altrettanto vero che le politiche europee a riguardo sono molto chiare: entro il 2035, non più del 10% dei rifiuti potrà essere conferito in discarica. Con i tempi che stringono trovare una soluzione diventa fondamentale e nessuno si illude che possa essere indolore, tuttavia, che quella più veloce e conveniente – economicamente ma non solo – sia anche la migliore, questo va dimostrato. Andando per gradi, la Regione Umbria ad oggi (gli ultimi dati disponibili sono del 2019) conferisce in discarica circa 190.000 t di rifiuti l’anno, un’enormità rispetto agli obiettivi futuri che ci vincoleranno ad un massimo di 50.000 t. Per di più, questo volume è già abbondantemente oltre quel tetto di 150 000 t che si era posto la Giunta Marini nel 2018 con il DGR 1409. Non solo, l’ultimo Piano dei Fabbisogni ci informa che la situazione delle nostre discariche è al collasso, perché i circa 540.000 m3 di spazio residuo ci consentono un paio di anni prima di arrivare a saturazione. Sorvolando per un attimo sul come mai in questo Paese si arrivi sempre a ridosso dell’emergenza per prendere decisioni incalzati dal rischio di far precipitare gli eventi, anziché attuare una politica di programmazione che, nel caso specifico, si risolveva in un semplice calcolo matematico; la situazione è grave. 

 

Lo scorso 6/12/2021 è stato pubblicato l’Aggiornamento del Piano regionale di gestione integrata dei rifiuti, nel quale, al quadro generale fa seguito l’analisi dei dati sulla raccolta differenziata. Da qui si nota come  l’Umbria già nel 2019 si attestava su un dignitoso 66,1% nonostante il sub-ambito 3, quello gestito da VUS, che al netto di un trend in crescita su base annua del 3%, non andava oltre il 55%. Oltre questo però, si scopre anche che la nostra regione è indipendente solo per quanto riguarda la gestione dei rifiuti organici, mentre tutto il resto del materiale che viene differenziato (e neanche benissimo perché il 58% di quanto conferito come plastica in realtà è uno scarto non riciclabile) va altrove per essere processato e rientrare nella catena produttiva; a danno del nostro sistema economico che si priva di risorse potenzialmente molto preziose. A questo punto, il documento passa in rassegna i 3 scenari individuati, anche grazie al supporto di un ormai imprescindibile Comitato Tecnico, come possibili exit strategies dalla crisi.

 

  1. realizzare un inceneritore con recupero energetico da 130.000 t/anno nel sub-ambito 2 che insieme a una raccolta differenziata del 75% porterebbe in discarica appena il 7% dei rifiuti urbani residuali (RUR);
  2. affiancare a una raccolta differenziata del 75% la realizzazione di due impianti cosiddetti REMAT da 60.000 t/anno ciascuno nei sub-ambiti 2 e 4 capaci, grazie a tecnologie basate su selettori ottici, di differenziare ulteriormente la parte conferita come non differenziabile. L’ulteriore scarto viene trasformato in CSS-rifiuto da recuperare in impianti esistenti dedicati, mentre in discarica andrebbe il 10%;
  3. spingere la raccolta differenziata all’80% e potenziare le strutture attuali dotandole di linee adatte a produrre CSS-combustibile se possibile, sennò sempre CSS-rifiuto che è più semplice, in base alla disponibilità sul territorio regionale per lo smaltimento. In questo caso finirebbe in discarica il 10,6% dei rifiuti ai quali però va aggiunto un ulteriore 4% di Frazione Organica Stabile (FOS).

 

Quindi, al di là della precisione che queste stime possano avere, di fatto l’arrivo della combustione di una parte di rifiuti per l’Umbria è inevitabile. Inoltre è anche conveniente, perché maggiore è la quantità che viene bruciata, maggiore è il risparmio economico, che però, va a penalizzare solo le potenzialità di sviluppo. Se andiamo a vedere le cifre dei diversi piani infatti, è vero che il primo richiede “solo” 171 M€, ma è anche vero che quasi tutti i 14M€ in più del terzo sono investimenti per potenziare e migliorare impianti e qualità complessiva della differenziata, il solo passo concreto verso la tanto sognata tariffazione puntuale. Solo differenziando più e meglio poi, si può pensare ad un futuro più salutare ed ecocompatibile, e la cosa emerge chiaramente anche dai vincoli imposti nei bandi PNRR per il miglioramento o la realizzazione di nuovi impianti per gestire i rifiuti: no a finanziamenti che comportino la combustione. Appare chiaro perciò che tutto questo ragionare su come e quanto bruciare, in realtà è già un pensare in maniera superata ed è anche estremamente probabile che, in un mondo che si sta privando a caro prezzo del carbone, non ci vorrà molto prima che anche sui rifiuti si arrivi a livelli analoghi. Perciò, se proprio di deve bruciare qualcosa, almeno che sia per accompagnare la transizione verso un processo di crescita progressiva del servizio e non di mera convenienza economica. Anche perché investire in strutture che potrebbero venir superate nel giro di un decennio non è senz’altro fare economia. È il momento che la politica torni a fare il suo dovere: prendere decisioni, e per certe questioni, fare politica significa anche avere il coraggio di spendere quanto è giusto per ciò che è giusto.

Andrea Cimarelli

Andrea Cimarelli

Andrea Cimarelli è laureato in Filosofia all'Università degli Studi di Macerata. Coltiva, la terra per mestiere, l'amicizia per passione, se stesso per vocazione. Già redattore della rivista Ritiri Filosofici, osserva il mondo per comprenderlo e difenderlo. Collabora attivamente con l'hub Territorio e Ambiente della Rete di Civici Per l'Umbria. Favorevole a vaccini, matrimoni gay e 5g.

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