image_pdfimage_print

A settantotto anni dalla liberazione dal nazifascismo siamo ancora qui, a fare commemorazioni e deporre corone d’alloro allontanandoci, però, dal vero significato che il 25 aprile ricopre.

Ci stiamo allontanando perché ci stiamo dimenticando di quelle vicende e degli eventi che hanno portato poi al bisogno di liberare l’Italia. Liberarla dall’autoritarismo e dall’oppressione, pagando peraltro un prezzo carissimo in vite umane. Ne sono una palese dimostrazione le recenti dichiarazioni del Presidente del Senato, Ignazio la Russa, il quale non ha esitato dall’alto e dall’importanza della sua seconda carica dello Stato a dare una riscrittura totalmente errata e grave degli eventi che hanno condotto all’eccidio delle Fosse Ardeatine. Quanto accaduto e le sue parole senza senso, “Presidente” ci ricordano, però, di quanto sia importante avere la conoscenza e la capacità di conoscere la storia, così da poter riconoscere quelle che invece ne costituiscono delle contaminazioni. Riconoscere le false informazioni, o le cosiddette “fake news”, ci permette di evitare la riscrittura della storia, la versione di La Russa sui fatti di Via Rasella ne è un esempio palese.

A cento anni dalla marcia su Roma sono ancora molte quelle relative a Mussolini e al ventennio fascista, di cui sembra che gli italiani abbiamo particolari problemi di memoria storica. Ed è proprio per questo che ora più che mai è “necessario che qualcuno metta dei punti precisi su ciò che è stato e non è stato il fascismo. Il rischio di confondersi è dietro l’angolo e il fascismo di ritorno è un fenomeno esistente” (1). Quante volte abbiamo sentito affermazioni del tipo: “Mussolini è stato un dittatore sì, però per l’Italia ha fatto anche cose buone. Mussolini ha dato le pensioni. Mussolini ha bonificato l’Italia. Mussolini ha regalato una casa agli italiani. Mussolini ha valorizzato le donne italiane. Mussolini era un urbanista. Mussolini ha alzato la qualità della vita degli italiani”. Queste sono solo alcune delle tante frasi che si sentono sul conto del dittatore che per vent’anni fu il mito dell’Italia. Da decenni, la storia lo ha giudicato e condannato eppure esistono ancora falsi miti e simboli che sostengono il fascismo e che sono sopravvissuti alla caduta del regime. Perché, se c’è una cosa che Mussolini ha saputo fare molto bene è stata la promozione di sé stesso e di imprese di cui spesso si è solo arrogato il merito, del resto tutti i dittatori lo sanno: la creazione del mito è la chiave per portare le masse dalla propria parte. Gli adulti erano abbindolati da questa capacità propagandistica mentre i giovani piano piano venivano plasmati perché “è più facile plasmare una creta che una statua di marmo”. Tutto ciò ha fatto sì che il fascismo diventasse una religione. Una sorta di religione civile o politica, in cui sostanzialmente il cittadino ha già una sua personalità ma viene svestito, come smontato dalle sue idee e aderiva al fascismo attraverso un percorso che partiva dalla nascita e subentrava tramite tutto (dall’istruzione allo sport).

Sono molte le mistificazioni dell’era fascista dalle bonifiche, all’introduzione della previdenza sociale, fino a Mussolini grande stratega militare. Ma?

La “guerra delle acque” (o con le acque)?

Littoria, il simbolo del miracolo, la città fondata sulle terre strappate all’acqua, l’orgoglio della potenza fascista che nel 1933 dichiara la propria vittoria: la missione impossibile delle bonifiche, perfino nell’Agro Pontino, è compiuta. Lì dove sono caduti tutti, il fascismo è riuscito. Ma è un racconto possibile solo grazie a una “grande operazione pubblicitaria”. La famosa bonifica dell’Agro Pontino, vanto dell’epoca fascista era in realtà un progetto nato nell’Italia giolittiana. Mussolini riprende questa opera facendola sua e promettendo agli italiani più di otto milioni di ettari di terreni riqualificati: un’enormità. Dopo dieci anni di lavori più tentati che andati a segno e fiumi di denaro pubblico finiti come accade sempre con il fascismo a amici degli amici e collettori di consenso del regime (come ad esempio l’istituto dell’Opera nazionale combattenti, di cui Mussolini in maniera truffaldina si appropriò, mettendo mano ai fondi che erano destinati invece agli ex combattenti di guerra che da un girono all’altro si ritrovarono senza aiuti), il governo annuncia il successo del recupero di 4 milioni di ettari. Scavando a fondo si scopre che i lavori “completi o a buon punto” arrivano in realtà a poco più di 2 milioni di ettari di cui la metà erano opera di bonifiche concluse dai governi precedenti al 1922. Insomma, dall’inizio dei lavori nel 1923 è stato portato a termine poco più del 6 per cento del lavoro. A riuscirci saranno poi i governi del Dopoguerra, grazie ai fondi del Piano Marshall e della Cassa del Mezzogiorno.

Infps: l’unica riforma fascista è il nome

In effetti il ministro Salvini aveva ragione: la previdenza sociale in Italia non l’hanno portata i marziani. Ma nemmeno Mussolini e il fascismo. Come ricostruisce Filippi nel libro (1), il primo sistema di garanzie pensionistiche è del 1895 (governo Crispi), tre anni dopo verrà fondato quello che è considerato il primo istituto antenato dell’Inps. Nel 1918 nasceva la Cassa nazionale assicurazione italiane. Nel 1919, con il governo liberale di Vittorio Emanuele Orlando, il sistema viene imposto a tutte le aziende come obbligatorio. Nel 1922 le cose con Mussolini iniziano a cambiare. L’allora capo del partito nazionalsocialista, capisce che il nocciolo dei consensi risiede lì e dal 1923 cominciano a cambiare tutti i dirigenti . E il fascismo? Quando prende il potere si preoccupa  di concentrare tutte le funzioni che hanno a che fare con il welfare sotto la Cassa Nazionale. E poi, nel 1933, una riforma imponente: cambia il nome all’istituto, che diventa Infps. “Un tentativo propagandistico – spiega Filippi – di impossessarsi di quello che nei fatti era stato il frutto di decenni di contrattazioni e lotte sindacali, di riforme attuate dai governi liberali e di iniziative delle associazioni di categoria dei lavoratori”. Questo istituto nella realtà diventa il finanziamento, continuo, per le imprese più ardite. Dall’inizio per i fascisti non fu una priorità ma un affare, iniziarono ad utilizzarlo come una macchina per stipendi, un’apertura per le clientele e quindi un produttore di consensi. Nel frattempo, quel che fa davvero il fascismo per i lavoratori è, nel 1926, stabilire che potevano esistere solo sindacati fascisti, vietare lo sciopero e la serrata, mettendo sotto giogo in un colpo solo i lavoratori e gli imprenditori.

La casa agli italiani!

Il mito di Mussolini che dà casa agli italiani si smonta facilmente. Non si tratta di altro che una grande macchina di clientelismo e consenso popolare. Roma era la città più bella e la vetrina del fascismo, soprattutto il centro città; quindi, nel centro cittadino non ci poteva essere il disgusto dei baracconi dei poveri. Cosa fa dunque il Duce? Da una parte abbatte la spina e crea un bel centro storico (creando lavoro per le ditte della medio-alta borghesia romana per accaparrare consensi) mentre dall’altra crea una periferia per tutti quelli che non rientravano nel modello fascista. Nascono così, le borgate romane: un’esigenza abitativa della popolazione reduce dall’esodo dal centro città alla periferia, una soluzione economica e veloce per risolvere il problema dell’alloggio e al contempo isolare le categorie più emarginate (baraccati, sfrattati, disoccupati, lavoratori saltuari, immigrati e oppositori), le cui caratteristiche sociali, morali e politiche contrastavano con l’immagine nuova e grandiosa che il regime fascista voleva imprimere alla “Terza Roma” come centro propulsivo del paese. Le condizioni delle borgate, però, probabilmente per rimarcarne l’isolamento, sono pessime: costruite con materiale spesso scadente, con configurazioni ripetitive e con planimetrie squadrate prive di qualsiasi elemento caratteristico, inserite in un contesto topografico assolutamente anonimo, le nuove borgate ufficiali rappresentavano una specie di corpo estraneo alla città, dalla quale erano tenute distanti e persino sotto controllo dai vicini forti militari.

Mussolini, il condottiero

La cosiddetta “lista del molibdeno” era un elenco di richieste di materie prime e di materiali bellici che Benito Mussolini inviò alla Germania di Adolf Hitler come condizione per l’entrata dell’Italia nella Seconda guerra mondiale. Prese questo nome dal tonnellaggio di molibdeno richiesto che superava l’intera produzione mondiale dell’epoca (600 tonnellate), rendendo perciò chiaro che la lista era unicamente un pretesto per evitare l’entrata in guerra dell’Italia. L’elenco comprendeva inoltre fra petrolio, acciaio, piombo e numerosi altri materiali, un totale di quasi diciassette milioni di tonnellate di rifornimenti e specificava che, senza tali forniture, l’Italia non avrebbe potuto assolutamente partecipare a una nuova guerra. Il Duce aveva inoltre aggiunto di suo pugno 600 pezzi di artiglieria contraerea e, in alcuni casi, aveva aumentato personalmente anche del 200% le quantità di materiali al solo scopo di scoraggiare i tedeschi dall’accettare le richieste italiane. Venne calcolato che, per consegnare la totalità del materiale, sarebbero stati necessari 17000 treni da 50 vagoni ciascuno. L’ambasciatore italiano a Berlino ricevette la lista da Roma e la consegnò a Joachim von Ribbentrop affinché la trasmettesse a Hitler. Ribbentrop, dopo averla letta, chiese entro quando l’Italia si aspettava di ricevere tutto quel materiale. La domanda mise in difficoltà l’ambasciatore italiano, in quanto da Roma gli avevano inviato la lista, ma nessuno si era preoccupato di fornirgli istruzioni. Tuttavia l’ambasciatore, avendo intuito il vero scopo di quell’elenco, rispose che il materiale doveva essere inviato «subito». Hitler, nonostante il sospetto che Mussolini lo stesse ingannando, si mostrò comprensivo e rispose dicendo che riconosceva la precaria situazione italiana e che poteva inviare una piccola parte del materiale, ma che gli era impossibile soddisfare per intero le richieste. Il cancelliere tedesco, allora, chiese all’Italia solo di tenere impegnati francesi e inglesi con propaganda e con movimenti di truppe, oltre a mandare manodopera in Germania. Tuttavia, in privato, ebbe uno scoppio d’ira, affermando che gli italiani si stavano comportando come nel 1914, in riferimento alla dichiarazione di neutralità che il Regno d’Italia, all’epoca parte della Triplice alleanza, aveva annunciato all’inizio della Prima guerra mondiale.

Questo prova come l’Italia non era assolutamente in grado, poiché senza soldi e senza capacità, di scendere in guerra. Prendemmo parte al conflitto in seguito, ma solo quando la Francia venne sconfitta e si pensava che la guerra a quel punto fosse già bella che vinta.

 

L’Italia è ancora oggi piena di ideologia fascista, risultato di questo lavoro propagandistico del regime. Altri paesi come la Germania di oggi, hanno invece, pur se tardivamente e faticosamente, fatto i conti con il loro passato. Se in Germania il nazismo è stato totalmente smitizzato e condannato, in Italia la terza tomba più visitata è quella del Duce, a Predappio.

Pier Paolo Pasolini diceva che siamo un paese senza memoria e quindi senza storia.

Il fascismo affascina tuttora per ignoranza, perché ci si sofferma solo sull’aspetto esteriore. È chiaro che non si possano fare parallelismi con quel fascismo con gli stivali e le camicie nere, ma è inevitabile non escludere ricadute autoritarie. Dire che il fascismo ha fatto anche cose buone significa dire che questo passato può diventare il nostro futuro perchè il rischio di un ritorno di un regime totalitario passa anche da narrazioni fantasiose e da false ricostruzioni che provano a riabilitare il passato. Dobbiamo stare attenti a quello che sta facendo la Russa, perché continuando a lanciare il seme della falsa informazione si riscrive la storia e se vent’anni fa sarebbe stato costretto a dimettersi dalla sua carica per le sue gravi insinuazioni, al momento non c’è stata nemmeno tutta questa indignazione per le sue dichiarazioni. Resta dunque a noi, singoli, l’arduo compito. Ricordare, raccontare i fatti e mostrare la realtà di ciò che è stato è il modo migliore per proteggersi dal pericolo delle nostalgie del fascismo.

Non dimentichiamoci che la vera colpa dell’Italia è stata quella di non aver capito il Fascismo.

Non ricommettiamo lo stesso errore.

 

 

 

(1) “Mussolini ha fatto anche cose buone” (Bollati Boringhieri 2019) di Francesco Filippi, con prefazione di Carlo Greppi. Del progetto fanno parte anche altri autorevoli storici come Alessandro Barbero, Claudio Siniscalchi, Giordano Bruno Guerri, Roberto Chiarini, Guido Melis. Altra fonte di informazione è costituita da un insieme di testimonianze dirette e indirette di chi ha vissuto o ha potuto raccogliere e tramandare l’esperienza dell’era fascista tra cui i testimoni e i discendenti dei bonificatori dell’Agro Pontino, ex fascisti e vittime delle leggi razziali. A questo testo si ispira inoltre il docu-film nato da un’idea di Pietro Suber, scritto con Luca Cambi e diretto da Simona Risi, in onda su Sky Documentaries, da cui questo pezzo trae il suo titolo.

 

 

Alessandra Fasulo Di Giacomo

Alessandra Fasulo Di Giacomo

Ho ventidue anni e sono una studentessa. Frequento il quarto anno di Giurisprudenza ma no, non per diventare avvocato (forse). Le mie passioni sono la montagna, il cibo, il vino, la musica e le conversazioni stimolanti. Grazie a "IlSadadí" ho riscoperto anche la passione per la scrittura e l'approfondimento di tematiche di attualità che rientrano nel mio campo di studi, temi che mi colpiscono e di cui, di conseguenza, sento il bisogno di parlare e di riproporvi (qui).

Leave a Reply