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Quando si parla di sport in Italia si finisce per parlare quasi sempre di calcio. Come se tutta la creatività e la fantasia di migliaia di persone che hanno elaborato forme di attività fisica organizzata per esprimere piacere o un’abilità fossero effetti collaterali con cui distrarsi saltuariamente da un monopolio pressoché totalizzante. Anche a livello di comunicazione.

Eppure, da un punto di vista sociale, questo mondo del calcio professionistico che assume sempre più i tratti di una mera industria sportiva, sembra ormai molto più adatto a comunicare ciò che non dovrebbe essere lo sport anziché rafforzarne l’immagine.

Al di là delle sempre più tristi vicende giudiziarie che intervengono a gamba tesa su club e campionati, per non parlare di quelle che coinvolgono le tifoserie violente, le tante pagine che parlano con nostalgia delle sport fino agli anni ’90 tradiscono un forte senso d’insoddisfazione per questo calcio da spettacolo. Perché è questo il punto: la dittatura dell’immagine ha prima sedotto poi divorato tutto quello che di bello c’era per chi il calcio lo viveva da dentro e fuori il campo, lasciando spazio solo al calcio da vedere. Per cui ormai chiunque preferisce il suo divano alla trasferta; tanto si vede meglio. Ciò che si perde per strada in tutto questo però, è chi dovrebbe essere protagonista; lo sport.

A Gualdo Cattaneo, dove stando all’ultimo censimento delle associazioni attive sul territorio nel 2020 fatto dall’Avis Comunale in occasione della pubblicazione del libro Gualdo Cattaneo un territorio solidale, delle 10 dedicate allo sport ben 5 sono di calcio, questa parabola discendente ha raggiunto il punto più basso con la fusione – che poi di fatto è stato un assorbimento – della Nuova Gualdo Bastardo con il Massa Martana.

Dal punto di vista sportivo in sé la cosa fa ben poca notizia. Ormai eventi come questo sono la normalità con la penuria di risorse che mette in difficoltà sempre più società, ma dal punto di vista sociale, la cosa ci deve spingere a guardare oltre.

Così ci si rende ben presto conto che il paradigma di sport all’interno del quale vengono educati i giovani, che poi alla fine è quanto metabolizzano e trasportano nella loro cultura individuale e come atteggiamento quotidiano, sono arrivismo e peso economico. Il primo perché uno dei motivi che hanno portato alla nascita dell’Atletico BMG – Bastardo Massa Gualdo – è la scorciatoia per uscire da un campionato di basso livello e raggiungere sulla carta il massimo campionato regionale, il secondo perché a calcio vale la pena giocare solo se c’è un’adeguata gratificazione economica a compensazione del tempo che gli dedico.

In sintesi, la morte dei valori sportivi. E soprattutto una pesante stortura nella percezione che i più giovani hanno di cosa dovrebbe essere lo sport: sacrificio, dedizione, impegno come mezzi per riscattarsi e far emergere il proprio valore. Concetti che i grandi campioni hanno messo in un angolo perché troppo impegnati a mostrare la propria ricchezza, le proprie possibilità economiche, sempre meno adeguatamente supportate dal valore delle prestazioni sportive.

Tutto questo ragionamento “bacchettone” – e qualcuno potrebbe dire anche ipocrita visto che chi scrive ha dedicato almeno un paio di decenni al calcio, salvo poi lasciarlo perché non riusciva più a divertirsi – non vuole certo tradursi nell’ennesima invettiva destinata a concludersi con la conta di quanti bambini si potrebbero salvare con un terzo dello stipendio di CR7. L’intento è semmai quello di riflettere insieme su come questi messaggi impliciti finiscano per plasmare cultura e coscienza delle generazioni future.

Vale davvero la pena investire tante energie in questo calcio? 

Tornando al sopracitato libro, c’è un passaggio che colpisce, all’interno della presentazione dell’Aurora Volley: il grande impegno dei membri della società per trovare, ad ogni partita, una palestra disponibile a ospitare la prossima.

È chiaro che per praticare gli sport al chiuso sono necessarie le strutture, ed è altrettanto chiaro che dotarsene è tutt’altro che semplice. Però questa dedizione che solo la forza di voler offrire un’opportunità in più ai ragazzi riesce a tenere in piedi, ecco, questa passione genuina fa passare in secondo piano le tante lamentele di società spesso fortemente assistite da amministrazioni e fondi privati che prima recriminano per coprire le tribune poi traslocano perché i risultati sul campo non arrivano. Il modello che serve ai nostri territori è quello di chi trova soluzioni alle oggettive difficoltà che ci sono. Come fanno gli sportivi.

Questa infondo è un’altra metafora di quelle opportunità che tanto faticosamente riescono a trovare casa dalle nostre parti. Ciascuna di esse infatti richiede un grandissimo lavoro, dedizione e sacrifici non solo per gli atleti, più o meno giovani, che ad uno sport appunto si dedicano, ma anche e non in parte minore, per tutte le persone che lo rendono possibile.

Ciò che probabilmente da un po’ di tempo sta venendo meno nel nostro territorio è il piacere di creare queste opportunità, questi spazi di realizzazione individuale e collettiva che poi costituiscono inevitabilmente anche un collante sociale. Chiunque, a prescindere da dove sia nato e cresciuto, avrà assistito ai racconti nostalgici di signori non più giovanissimi che rivangavano vecchie imprese sportive condivise con amici e compaesani quasi come fossero vere epopee. A chi importa poi se erano davvero così? Esistevano per quelle persone, le hanno tenute insieme e insieme hanno dato loro una narrazione che le fa sentire parte di una stessa cosa.

Anche qui si gioca la battaglia per tenere vitali i nostri territori.

La capacità di far sentire le persone parte di qualcosa attraverso i momenti condivisi. Una missione a cui siamo tutti chiamati, dal Primo all’ultimo cittadino. Perché prima delle strutture, quello che serve sono dei progetti.

Senz’altro più facile a dirsi che a farsi, ma con la teoria degli alibi, tanto per citare un grande allenatore di pallavolo, non si va da nessuna parte e si finisce sempre per incolpare qualcun altro per non esser stati capaci di reagire alla situazione.

E invece, l’unica reazione possibile è offrire alle persone le opportunità, nello sport come nella quotidianità, per realizzarsi e proiettarsi in avanti più forti e più grandi, nel corpo come nello spirito. E poi, perché no, anche più vicini. Anche a Gualdo Cattaneo.

Andrea Cimarelli

Andrea Cimarelli

Andrea Cimarelli è laureato in Filosofia all'Università degli Studi di Macerata. Coltiva, la terra per mestiere, l'amicizia per passione, se stesso per vocazione. Già redattore della rivista Ritiri Filosofici, osserva il mondo per comprenderlo e difenderlo. Collabora attivamente con l'hub Territorio e Ambiente della Rete di Civici Per l'Umbria. Favorevole a vaccini, matrimoni gay e 5g.

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