a cura di ALESSANDRA FASULO DI GIACOMO
La mattina di venerdì 23 dicembre, i Vigili del Fuoco sono intervenuti per fermare l’incendio che ha colpito la discoteca Lido Tevere di Ponte San Giovanni (PG). Questa discoteca era considerata uno dei punti di riferimento della comunità LGBQTIA+ umbra e non solo.
Nonostante l’intervento dei vigili del fuoco sia stato immediato, del Lido Village purtroppo non è rimasto molto: si è trattato di un incendio di vaste dimensioni e, da quanto risulta dai primi rilievi, con inneschi situati in punti diversi. Un incendio che ha distrutto tutto. In cenere la copertura delle due sale così come gli arredi; è rimasta gravemente danneggiata l’intera struttura. Fortunatamente quando è scattato l’allarme, il locale era chiuso già da parecchie ore perciò non sono rimaste coinvolte persone.
Da oltre 15 anni il locale ospitava con regolarità il “BeQueer”, la storica serata della comunità LGBTQIA+ umbra (forse non tutti conoscono questo acronimo, non esente alle critiche, il cui intento è però quello di includere tutti gli orientamenti sessuali, infatti starebbe per: Lesbica, Gay, Bisessuale, Transgender e transessuale, Intersessuale, Asessuale, mentre il più (+) ingloba altri orientamenti sessuali e/o identità di genere). La serata, organizzata dall’associazione Omphalos che opera da oltre 25 anni per promuovere e garantire diritti umani e civili, oltre che rappresentare un importante presidio sociale a difesa dei diritti della comunità LGBTQIA+ nella nostra regione, era tra gli appuntamenti più gettonati e si sarebbe dovuta svolgere il 25 dicembre, come tutti gli anni. Quanto accaduto ovviamente ha portato ad annullare la serata ed ora il locale è sottoposto a sequestro.
Cosa sia successo, per mano di chi, ma soprattutto il motivo di quanto accaduto è oggetto delle ricerche degli investigatori. Il timore, visto che sono due i punti da cui sembra essere partito l’incendio, è che l’accaduto abbia un’origine dolosa e che quindi alle radici ci possa essere una forma di discriminazione.
Con la speranza che quanto prima le autorità facciano luce sull’accaduto ciò che è successo ci offre un forte spunto di riflessione. Tutto ciò ci ricorda che alla base del problema c’è che l’Italia, ancora oggi, resta uno dei pochissimi paesi dell’Unione Europea (di cui è un fondatore) senza leggi che puniscano crimini di odio legati all’orientamento sessuale o l’identità di genere.
Il dibattito sull’argomento si era in realtà aperto circa 25 anni fa.
Già nel 1996 Nichi Vendola, all’epoca deputato del Partito di Rifondazione Comunista, aveva proposto l’allargamento delle norme antidiscriminatorie della Legge Mancino, includendovi la sanzione di atti di discriminazione basati sull’orientamento sessuale.
Nel 2006, con una risoluzione, il Parlamento Europeo ha chiesto agli Stati membri di “assicurare che le persone LGBTQIA+ vengano protette da discorsi d’odio omofobici e da atti di violenza omofobici e di garantire che i partner dello stesso sesso godano del rispetto, della dignità e della protezione riconosciuti al resto della società”. Nessuna azione è, tuttavia, stata intrapresa in attuazione della risoluzione, fino a una proposta da parte di Ivan Scalfarotto del Partito Democratico nel 2013, anch’essa senza seguito. La proposta prevedeva l’estensione dell’applicazione della legge n. 654 del 13 ottobre 1975 alle discriminazioni motivate dall’identità sessuale della vittima del reato di incitamento alla discriminazione o alla commissione di atti di violenza.
Dal 2006 si deve aspettare, fino al 4 luglio del 2018. In questa data veniva presentato il disegno di legge noto come “Ddl Zan”. Il contenuto della legge era destinato a modificare l’articolo 604-bis del Codice Penale, che punisce l’istigazione o la commissione di discriminazione e la violenza per motivi etnici, razziali o religiosi. La modifica consentiva di aggiungere all’elenco di atti discriminatori sanzionati anche l’istigazione a commettere, o la commissione, di violenza fondati sull’omofobia o sulla transfobia. Era prevista, poi, un’integrazione dell’art. 604-ter del Codice penale. Il fine era quello di vietare ogni forma di organizzazione, associazione o movimento o gruppo aventi tra i propri scopi la discriminazione o la violenza fondati sulla transfobia o sull’omofobia. Era inclusa anche l’istituzione della Giornata nazionale contro le discriminazioni determinate dall’orientamento omosessuale, bisessuale o dall’identità di genere, il 17 maggio (in questa data nel 1990 l’Organizzazione mondiale della sanità ha eliminato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali) nonché l’istituzione di centri antiviolenza per le vittime di omofobia e transfobia.
Con 154 voti a favore, 131 contrari e 2 astenuti, il Senato però aveva approvato la cosiddetta “tagliola”, ovvero la proposta di non passare all’esame degli articoli del Ddl Zan. Il voto, a scrutinio segreto, ha di fatto affossato il disegno di legge, tra gli applausi dell’Assemblea. Si chiudeva così il capitolo durato quasi un anno, da quando il disegno a firma del deputato del ‘Partito Democratico’ Alessandro Zan era stato approvato alla Camera e inviato in Senato.
Un ultimo tentativo di difendere, con le unghie e con i denti, le poche conquiste fatte in questi anni (dal 1889 quando nel codice Zanardelli i rapporti omosessuali diventano legali al 2016 con la legge Cirinnà, passando per la legge n°164 del 1982 che rende possibile il cambio di sesso) e un apparente passo avanti (necessario per colmare quelle, ancora troppe, lacune presenti nel nostro ordinamento in termini di diritti per le persone omosessuali, lesbiche, bisessuali, transgender) è stato quello della Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti, ministra dell’ex esecutivo di Draghi .
Quest’ultima presentò in Consiglio dei ministri, la “Strategia nazionale LGBT+ 2022-2025“. Il piano prevede tutta una serie di azioni “vincolanti” da intraprendere nel corso dei prossimi tre anni, in accordo con la Strategia europea per l’uguaglianza delle persone LGBTIQ per il quinquennio che si concluderà nel 2025. Questa manovra rappresenta una nota positiva: in sostanza, infatti, permetterebbe il contrasto, a livello legislativo, di possibili misure estremiste dell’attuale esecutivo a guida centrodestra. Le polemiche non si sono fatte aspettare infatti Eugenia Roccella, ex sottosegretaria ed ex portavoce del Family Day, appena rieletta con il partito di Giorgia Meloni e attualmente capo del nuovissimo “Ministero per la famiglia, la natalità e le pari opportunità”, ha subito evidenziato come “non si possono prendere impegni per il governo successivo (…) Ricominceremo tutto da capo, con la nostra linea”. Che suona, invece, proprio come una minaccia alla comunità Lgbt+.