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«Ogni tempo ha il suo fascismo: se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità e la capacità di esprimere ed attuare la sua volontà. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col terrore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti» 1

Quando ho letto queste parole non ho potuto fare a meno di pensare a come arrivino dritte al petto e scaturiscano immediatamente una riflessione. Come spesso accade, basta rileggere Primo Levi per accorgersi che a poco a poco sembriamo tornare sempre sugli stessi passi. Si dice che la storia sia ciclica, si, ma dovremmo auspicare di iniziare ad imparare dai propri errori, prima o poi. Per ogni frase non ho potuto fare a meno di ripensare a quello che segna l’attualità. In questi ultimi giorni sono stati principalmente due gli argomenti che mi hanno colpito e quando mi è capitata sott’occhio questa citazione e non ho potuto fare a meno di pensare di cercare di metterli insieme, per riflettere effettivamente su quello che piano piano vediamo accadere e scivolare sotto i nostri occhi.

Negare al cittadino la possibilità e la capacità di espressione. In questi giorni la negazione di espressione più evidente è quella che la comunità LGBTQIA+ (avevamo introdotto l’argomento qui) sta subendo da parte delle istituzioni. Alle porte del “Pride” manifestazione che vedrà le maggiori piazze italiane tingersi di colori arcobaleno durante le giornate di fine giugno, la Regione Lazio seguita dalla Lombardia, ha deciso di revocare il patrocinio dopo averlo inizialmente concesso. La motivazione? Mentre nel Lazio il Presidente della regione, Francesco Rocca, ha affermato di non averlo concesso a causa del manifesto, il quale conterebbe una “clausola” pro-utero in affitto (di cui evidentemente all’inizio non si è reso conto, ma che successivamente gli è stato fatto notare dai suoi elettori del movimento “Pro Vita & Famiglia”) in Lombardia invece non è stata proprio data alcuna motivazione. Pro Vita attacca e Rocca fa dietro front, un po’ come quello che è successo (per chi se lo ricorda) all’Umbria Pride dello scorso anno tra la Tesei e Pillon. Nel frattempo, mercoledì a Pavia due ragazzi sono stati violentemente insultati e inseguiti in stazione, l’ennesimo episodio discriminatorio sintomo di come la cultura omolesbobitransfobica sia radicata nella società. Negli ultimi venti anni ogni tentativo di fare una legge è naufragato, adesso viene detto che non è nemmeno più necessaria una legge. Nel frattempo, continuano le aggressioni e a quanto pare sembra essere “normale” essere aggrediti per strada per chi si è e come si è.

Tutti coloro che inseguono l’uguaglianza dovrebbero pretendere dalle istituzioni il riconoscimento di tali episodi come crimini d’odio, perché la libertà di espressione cosi come tutti gli altri diritti e le tutele andrebbero riconosciuti a tutti o perlomeno così dovrebbe essere in un paese democratico.

Diffondere in modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine. Non so a voi cosa scaturisca, a me fa tornare subito alla mente la politica di La Russa che, tra l’altro, colpisce ancora alla parata del 2 giugno. Per ricapitolare brevemente l’accaduto: c’è la sfilata militare, passano gli incursori del comando raggruppamento subacquei, gli incursori “Teseo Tesei” chiamati Comsubin gridando “Decima!”. Ignazio La Russa ride e fa il segno di vittoria. Alle prime critiche viene immediatamente risposto che non c’entra nulla la Decima MAS di Valerio Borghese (il fascista Borghese) bensì si tratterebbe semplicemente di un riferimento alla Decima della Regia Marina Militare (da cui però Borghese discende). ”Il fascismo non c’entra nulla” però il background storico è un po’ più complesso. La “Decima MAS” nasce come flottiglia che sotto la Regia Marina nel ’41 combatte la Seconda guerra mondiale, la quale tra l’altro proprio in quell’anno si rende responsabile della cosiddetta impresa di Alessandria (impresa di cui a lungo il fascismo si vanterà) e nello stesso anno viene nominato Cavaliere dell’Ordine militare proprio Borghese che si trova al comando di quella operazione. Nel ‘43 con l’armistizio, si spacca e quelli fedeli al nuovo governo Badoglio decidono di combattere con gli alleati seguendo il capitano Ernesto Forza e prenderanno il nome di “Mariassalto”. “Decima Mas” continua a essere il nome del gruppo comandato da Borghese che lavora con la Repubblica di Salò e assieme ai nazisti rastrellano partigiani, torturano, fucilano e saccheggiano. Tra i molti crimini di cui Borghese si è macchiato c’è anche l’impiccagione di un ragazzo di venti anni, Ferruccio Nazionale, partigiano, che viene messo al centro della piazza di Ivrea con un cartello “aveva tentato con le armi di colpire la decima”. Le domande ed i dubbi sono molti, la prima è se effettivamente sia sempre stato fatto cosi e perchè quest’anno dovrebbe essere diverso? Ma soprattutto se andiamo a basarci sulla storia perchè il grido non è “Mariassalto”? Se a quest’ultima domanda non riesco a darmi una risposta, nella precedente ci viene in “aiuto” il gesto di La Russa. Perché si, è stato quello ad accendere i riflettori e far capire il vero significato. Per noi che ne siamo estranei, non facciamo parte di quell’ambiente effettivamente la parola “decima” poteva stare per qualsiasi cosa, come la divisione. Ma il gesto svela e lo fa perché, inoltre, c’è un precedente storico: La Russa da ministro della Difesa nel 2009 in visita alla caserma Vannucci parlando al Comsubin gli disse espressamente: <<siete eredi della non dimenticata Decima Mas>>.

La speranza per il prossimo 2 giugno è pulire da questi riferimenti le forze armate e magari trovare un modo per omaggiare Mariassalto e gli incursori che combatterono i nazifascisti e contribuirono a ottenere la democrazia. Affermare che il fascismo è solo un fenomeno storico bello che finito è un errore ed è stato proprio questo atteggiamento che ci ha fatto arrivare a dove siamo ora. È evidente che si parli di una continuità politica, c’è qualcosa di sottile in fondo, si vuol dire che il fascismo non fu solo sbagli, fu anche tante cose buone. L’ambiguità di tutto ciò è pericolosa perché non dimentichiamoci da dove arrivano La Russa e Crosetto. La Russa ha fatto esplicitamente di questa continuità storica, la sua politica. Perché si cambia ? Si cerca di togliere il giudizio e lo studio del passato? Per poter poi arrivare a parlare di sostituzione etnica, di cui se ricordate bene, prima ancora di Lollobrigida ci parlavano Meloni e Salvini durante i loro comizi nelle piazze (molti anni prima della campagna elettorale per questo Governo), arrivare a dire che la tortura non permette alle forze dell’ordine di fare il proprio lavoro finendo così per legittimarla (facendoci tornare all’epoca precedente a Beccaria), mentre la maternità surrogata la si rende un crimine internazionale invece di regolamentarla.

Tutte queste cose discendono esattamente da quella storia e discendono da una nostra mancanza: aver dismesso l’attenzione sui comportamenti autoritari, aver dismesso l’attenzione su cose che anni fa avrebbero fatto inorridire la parte democratica del Paese.

Ma del resto, è quello che ha permesso all’estrema destra di andare al potere senza aver dovuto davvero trasformare o celare la propria storia. Questo è quello che è successo e dobbiamo tenere i fari accesi.

 

  1. Primo Levi, Un passato che credevamo non dovesse tornare più, in: Corriere della sera, 8 maggio 1974.
Alessandra Fasulo Di Giacomo

Alessandra Fasulo Di Giacomo

Ho ventidue anni e sono una studentessa. Frequento il quarto anno di Giurisprudenza ma no, non per diventare avvocato (forse). Le mie passioni sono la montagna, il cibo, il vino, la musica e le conversazioni stimolanti. Grazie a "IlSadadí" ho riscoperto anche la passione per la scrittura e l'approfondimento di tematiche di attualità che rientrano nel mio campo di studi, temi che mi colpiscono e di cui, di conseguenza, sento il bisogno di parlare e di riproporvi (qui).

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