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“La Rai è di tutti gli italiani, al di là di ogni conduzione o convinzione politica. È dei cittadini che pagano il canone e quindi deve essere plurale”. (1)

Come i governi precedenti, anche il governo Meloni ha apportato dei cambiamenti alla televisione pubblica italiana. Nell’ultimo periodo abbiamo visto dei cambi drastici nei giornalisti, nella programmazione ma soprattutto nei contenuti.

A questo proposito si parla di “lottizzazione” ma cos’è?

È la pratica di assegnare posizioni di spicco nel settore radiotelevisivo sulla base delle tendenze politiche o personali e non sempre sulla base della professionalità e del merito. Nasce nel 1975 con la riforma contenuta nella legge n. 103 del 14 aprile tramite cui si voleva proteggere l’indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo dal governo ponendo la Rai sotto il controllo del Parlamento. Le conseguenze di questa decisione? Pluralismo dei mezzi di informazione e la messa in discussione dell’indipendenza dell’informazione stessa.

Molti anni dopo precisamente nel 2015 una nuova riforma che porta il nome di Matteo Renzi ha cambiato gli assetti in viale Mazzini: si era stabilito che dovesse essere l’esecutivo a scegliere il vertice rappresentato dall’amministratore delegato nel quale si concentravano tutti i poteri. Sono in molti a ritenere che con questa riforma sia stato compiuto un passo indietro, si è tornati addirittura a prima del ‘75, ad una Rai più politicizzata e che dipende fortemente dal governo. Cosa ha comportato questo? Le nomine dei dirigenti, dei CdA e dei comitati editoriali vengono influenzati dalle scelte e dalle simpatie politiche mandando in crisi quello che è il sistema di governance della Rai che rischia di avere una copertura mediatica parziale e/o totalmente distorta. Difatti quando i giornalisti sono sottoposti a pressioni politiche per conformarsi a una certa narrativa, il rischio che l’obiettività e l’imparzialità vengano meno, aumenta.

Proprio in virtù della riforma del 2015 lo scorso maggio abbiamo assistito al cambio decisivo dei vertici da parte dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. La Rai si è adeguata alle nuove direzioni politiche. Dopo le dimissioni di Carlo Fuortes il nuovo AD è Roberto Sergio che ha proposto: Gianmarco Chiocci (cresciuto nel giornale di Vittorio Feltri e fortemente voluto da Giorgia Meloni alla direzione del Tg 1) Antonio Preziosi (sponsorizzato da Forza Italia al Tg 2) e Mario Orfeo al Tg 3. Il nuovo assetto non è stato accolto di buon grado nemmeno da alcuni volti storici della Rai: Lucia Annunziata si è dimessa affermando di non condividere l’operato del governo, Fabio Fazio conduttore di “Che tempo che fa” ha lasciato viale Mazzini e Rai Tre, di recente anche Bianca Berlinguer ha rassegnato le proprie dimissioni.

Per di più qualche giorno fa la nuova Rai targata Meloni ha annunciato la cancellazione dai palinsesti del programma “Insider” dello scrittore Roberto Saviano. Una decisione che appare come un bilanciamento politico, se non una rappresaglia, della cancellazione del programma di Filippo Facci, “punito” per le sue dichiarazioni sulla donna che accusa di stupro il figlio del presidente del Senato, Ignazio La Russa. È stata già annunciata un’interrogazione parlamentare per due motivi << la rilevanza del programma>> dedicato al contrasto delle mafie, e <<il danno erariale>> visto che il programma era già in palinsesto e il taglio comporterà un costo per la Rai anche in relazione alla vendita degli spazi pubblicitari. Ma c’è anche una terza ragione: i casi Saviano e Facci non sono paragonabili. La scelta di invocare il codice etico Rai per il giornalista di Libero è arrivata nelle immediate vicinanze temporali a quando è stata scritta, pochi giorni dopo. Nel caso di Saviano il programma (già realizzato e pagato) viene cestinato per frasi pronunciate molto tempo fa: la frase (“ministro della malavita”) non sarebbe andata giù ai vertici Rai ma soprattutto al ministro Salvini a cui si riferiva. Per le querele aspettiamo i giudici ma il labirinto in cui si infila l’amministratore delegato Roberto Sergio è quello della cacciata per demeriti precedenti. Se è così anche molti altri attuali conduttori potranno essere “cacciati” a causa di questa “’incompatibilità” con il codice etico, di cui però sarebbe curioso approfondire i parametri.

Ma come potremmo migliorare il modello Rai? Ci fornisce un esempio la BBC. Il quadro normativo dell’ente radiofonico e televisivo inglese si basa sulle Royal Charters emesse ogni 10 anni dal monarca inglese su indirizzo dell’esecutivo e delineano missione, obiettivi e funzionamento dell’emittente pubblica britannica. La carta, rilasciata nel 2016, ha modificato il modello storico della televisione inglese un tempo così strutturata: da un lato vi era l’executive board incaricato della gestione esecutiva della compagnia e dall’altro, il trust, i cui componenti venivano nominati dalla regina e avevano il controllo sull’operato. Dopo il 2016 l’organo del trust è stato rimosso perché la sua attività si sovrapponeva a quelle dell’executive board e dell’ofcom (l’ente regolatore delle comunicazioni) questa riforma ha avvicinato il modello BBC a quello della Rai ma a differenza di questa l’indipendenza della BBC è garantita dall’intervento del monarca nelle nomine dell’executive board e da una marcata cultura dell’indipendenza.

Nonostante sia tra gli organi giornalistici più consultati la Rai non è considerata il più imparziale ed il fenomeno della lottizzazione è certamente una causa. Non resta che chiedersi quali possano effettivamente essere le strade percorribili per avere un servizio pubblico più “giusto”: una cosiddetta rappresentanza della pluralità o l’indipendenza e la lontananza totale dall’influenza politica caratterizzata esclusivamente dalla diffusione delle notizie basate sui fatti (come la nozione di giornalismo vorrebbe)?

 

(1) Parole di Pippo Baudo citato da Luciana Littizzetto, nel suo monologo di addio a Viale Mazzini, come simbolo della tv pubblica – al di là dei governi di turno – insieme con Mike Bongiorno, Enzo Biagi, Corrado, Raffaella Carrà.

Alessandra Fasulo Di Giacomo

Alessandra Fasulo Di Giacomo

Ho ventidue anni e sono una studentessa. Frequento il quarto anno di Giurisprudenza ma no, non per diventare avvocato (forse). Le mie passioni sono la montagna, il cibo, il vino, la musica e le conversazioni stimolanti. Grazie a "IlSadadí" ho riscoperto anche la passione per la scrittura e l'approfondimento di tematiche di attualità che rientrano nel mio campo di studi, temi che mi colpiscono e di cui, di conseguenza, sento il bisogno di parlare e di riproporvi (qui).

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