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Pochi giorni fa abbiamo salutato l’inverno che quest’anno quasi non abbiamo percepito. Ci stiamo abituando a questa anomalia climatica che si evolve sempre più velocemente tanto da essere percepita a memoria d’uomo. Questi veloci cambiamenti portano con sé anche eventi metereologici improvvisi e di estrema forza che prontamente incolpiamo dei disastri che ne conseguono ignorandone, scientemente, l’origine.

Stiamo raccogliendo ciò che abbiamo seminato per secoli, perseverando imperterriti nell’errore anche quando eravamo ormai consapevoli delle conseguenze.

È così che escono i primi preoccupanti bollettini per i prossimi mesi. Gli analisti del meteo preannunciano che l’estate 2024 sarà caratterizzata da temperature molto alte e da scarse precipitazioni. Sarà l’Anticiclone Africano che condizionerà ‌il meteo della penisola. Il risultato sarà un innalzamento delle temperature e un elevato rischio di ondate di calore. Come già annunciato in passato e come si è già verificato, questa situazione potrebbe avere impatti notevoli sulla salute pubblica, sull’ambiente e sulle risorse idriche, richiedendo una​ necessaria riflessione sulle​ strategie di adattamento e di mitigazione, riflessione che però non sembra interessare la classe politica, nazionale e internazionale, che continua imperterrita a ignorare il problema.

Non pensate che il problema sia tanto lontano da noi, è più vicino di quanto possiate pensare.

Secondo la classifica della nuova edizione dell’indice del clima del Sole 24 Ore, pubblicata sul quotidiano di Confindustria lunedì 25 marzo c.a., Terni risulta essere una città da record: vi è stata registrata la maggior frequenza media annua di ondate di calore con 29 sforamenti per oltre 30° C per ben tre giorni consecutivi. “La classifica, aggiornata con i dati forniti da 3bmeteo relativi al decennio 2013-2023, viene utilizzata ogni anno nell’indagine della ‘qualità della vita’ realizzata dal Sole 24 Ore per raccontare in quale delle 107 città capoluogo si viva meglio dal punto di vista climatico, in base a dieci parametri che misurano le più frequenti condizioni di ‘bel tempo’” (leggi l’articolo completo qui).

Il tema lo abbiamo già affrontato più volte sotto vari aspetti ma in questo pezzo vorrei porre l’attenzione su un aspetto legato al cambiamento climatico, tanto importante quanto delicato.

Facciamo un riassunto. Quali sono le cause del cambiamento climatico?

La combustione di combustibili fossili per produrre energia elettrica e calore provoca una grossa fetta delle emissioni globali (mi fa sorridere amaramente l’immagine delle colonnine elettriche per la ricarica di auto considerate “green” la cui elettricità è quasi totalmente prodotta da questo genere di fonte non rinnovabile e altamente inquinante!).

Ad essa si aggiunge il disboscamento, attuato per diverse ragioni, alcune tipologie di mezzi di trasporto, consumi eccessivi relativi allo stile di vita di una ristretta fetta della popolazione mondiale.

Ma tra le cause maggiori abbiamo la produzione alimentare.

La produzione alimentare utilizza ogni genere di prodotto chimico-farmaceutico nel settore agricolo e di allevamento terrestre e marino ed è ritenuta responsabile dell’aumento dei gas serra. Le emissioni di gas derivano inoltre dalla deforestazione e il disboscamento di terreni e accompagnati dall’utilizzo dei fertilizzanti, diserbanti, insetticidi e mangimi complessi a base di antibiotici, ormoni e disinfettanti. Anche nel settore primario l’impiantistica è fondamentale nella produzione e gestione agricola, della pesca e dell’allevamento: pensiamo alla movimentazione globale di questi prodotti, alla loro etichettatura, al loro imballaggio e al loro trasporto in container su cargo navale e aereo.” (Per approfondire leggi qui il contributo sul tema nel sito del Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite)

Secondo i dati della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) il 14,5% delle emissioni totali di gas serra globali provengono dall’allevamento. Produrre carne intensivamente libera gas a effetto serra lungo tutta la catena produttiva. Non parliamo solo di digestione degli alimenti, ma anche di deforestazione, messa in atto sia con l’intento di creare zone di coltivazione destinate all’alimentazione dell’allevamento intensivo sia per allevare animali. Sappiate però che l’anidride carbonica non è il principale problema: vi sono altre due componenti che vengono prodotte dall’allevamento intensivo che sono ancora più inquinanti e pericolose. Si tratta del metano e del protossido di azoto, anch’essi prodotti in grandi quantità e liberati attraverso differenti fonti, in particolare dalle deiezioni animali, la fermentazione prodotta dai ruminanti durante la digestione e l’utilizzo di fertilizzanti. L’allevamento produce il 37% di metano e il 65% di protossido di azoto mondiali.

L’allevamento intensivo, che contribuisce pesantemente al cambiamento climatico e a cui sono collegate altre cause come deforestazione, impoverimento del suolo, desertificazione e agricoltura intensiva, contribuisce per il 30% circa alla perdita di biodiversità globale.

Gli studi e le analisi degli ultimi anni hanno dimostrato che se permane questo sistema di intensificazione dell’agricoltura e dell’allevamento, condurrà ad un aumento delle emissioni di gas serra del 77% entro il 2050 e queste emissioni, da sole, porterebbero a un aumento di 2° della temperatura mondiale (leggi qui in merito alla COP28).

Queste emissioni che hanno questa origine possono diminuire solo in un modo: riduzione del 50% dello spreco di cibo e con un cambiamento nella dieta riducendo sensibilmente l’assunzione di carne. Qui non si tratta di essere vegetariani o vegani, l’aspetto etico dietro questo tipo di scelte ritengo sia un fatto del tutto personale e insindacabile. Qui siamo dinanzi a una necessità ambientale attenuabile ampiamente perseguendo questa strada. Il pregio di vivere in un contesto rurale come quello umbro, non ci permette però di avere la reale percezione di che cosa significhi realmente una produzione di carne da allevamenti intensivi, ma la carne che troviamo impacchettata nei frigoriferi delle grandi catene di supermercati a prezzi stracciati ha origine proprio da lì.

Quanto inciderebbe un cambiamento della nostra dieta? Ecco i dati. Secondo uno studio pubblicato nel 2014 (Westhoek H et al, 2014. Food choices, health and environment: Effects of cutting Europe’s meat and dairy intake. Global Environmental Change, Vol 26, May 2014 p196-205, leggi qui) riducendo del 50% il consumo di carne, latte e uova nell’Unione Europea, si ridurrebbero le emissioni del 25-40%.

Mangiare più verdura, frutta, grani interi, legumi, frutta secca e semi e meno carne e latticini può ridurre in maniera considerevole l’ impatto ambientale. Inoltre non ci dimentichiamo che questo tipo di dieta (termine da intendersi come abitudine alimentare sana e corretta e non come restrizione) ricca di legumi, cereali, verdure, frutta e grassi buoni, è ormai appurato essere più salutare: la minor assunzione di carne è collegata a un miglioramento della salute generale e a una riduzione del rischio di alcune malattie (riduzione della colesterolemia, ottimizzazione della salute intestinale, miglior controllo sul peso ecc.). Inoltre, secondo due importanti ricerche (EPIC-Oxford e Adventist Health Study-2) eliminare o ridurre l’assunzione di carne rossa ha scientificamente dimostrato che contribuisce a ridurre il rischio di malattie cardiache e cancro, ma anche di migliorare la resistenza insulinica e di ridurre il rischio di diabete di tipo 2.

L’azione di ognuno di noi può fare la differenza, a cominciare dalle piccole scelte che compiamo ogni giorno, come fare la spesa. Acquistare prodotti rispettosi dell’ambiente provenienti da allevamenti all’aperto o biologici significa pensare anche all’ambiente, oltre che agli animali e soprattutto alla nostra salute. A questo, oltre alla diminuzione dell’assunzione di carne, se aggiungessimo alcune accortezze, come risparmiare energia in casa, organizzare viaggi prediligendo mezzi di trasporto meno inquinanti, evitare gli spechi di cibo, prediligere acquisti second-hand, vi accorgeresti dei tanti benefici anche a livello economico riuscendo a risparmiare anche cifre considerevoli (leggi qui i consigli dell’ONU).

Proviamo ad agire in questo senso, vivendo anche con maggior consapevolezza: le nostre azioni possono avere un peso importante. Il passo successivo è quello di parlarne con chi ci sta intorno per una cittadinanza più consapevole. I grandi imprenditori, le cui azioni sono volte esclusivamente al profitto, e i leader locali e mondiali devono essere esortati dalla popolazione ad agire in modo significativo.

Il poco di tanti può fare la differenza, molto più del tanto di pochi.

Sara Trionetti

Sara Trionetti

L’arte e la letteratura mi appassionano da sempre, perciò intraprendo studi classici. L’attaccamento all’Umbria si esprime in ambito accademico con tesi specialistiche legate al territorio, poi in ambito lavorativo, prestando servizio in molti musei della Regione, e infine come guida escursionistica e accompagnatore turistico. Con passione accompagno italiani e stranieri alla scoperta della storia, delle tradizioni, del buon cibo e della natura della mia amata Umbria. I tramonti mi commuovono, il panorama dalle vette delle montagne anche. Le mie giornate sono piene di ore di studio, escursioni con Foresta e sport. Sono cresciuta nel volontariato, attività che ho svolto con impegno e dedizione. Sono una di quelle persone che ha scelto di rimanere perché crede nelle potenzialità di questo territorio.

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